Lontano dagli occhi ma non lontano dal cuore: primo classificato nella prima edizione del Concorso di narrazione migrante

Lontano dagli occhi ma non lontano dal cuore: primo classificato nella prima edizione del Concorso di narrazione migrante

In esclusiva per i lettori di Stranieriincampania il racconto primo classificato nella prima edizione del Concorso di narrazione migrante dal tema “Le cose che non sapevo di amare” organizzato da Cidis nell’ambito del progetto Passaparola. “L’autore, Joseph Perfection Mabiala-Henri – scrive la Giuria nelle motivazioni- attraverso una scrittura ricca e densa, seppur lineare e discorsiva, restituisce in maniera sentimentale le tensioni, le amarezze, le difficoltà e i cambiamenti intervenuti nei rapporti sociali a causa della pandemia. I ricordi quotidiani della vita prima del COVID-19 assumono un valore e un significato diversi. Ogni momento vissuto nell’inconsapevolezza della sua importanza”.

Ricordiamo che le iscrizioni alla seconda edizione del concorso, sono aperte fino al 15 novembre 2021. Questa volta il tema proposto è “Casa è dove voglio essere”, tutte le informazioni e le istruzioni per partecipare sono disponibili nell’articolo pubblicato a questo link.

Per chi si fosse perso i racconti precedenti:

Secondo classificato “Domani sarà felice” a cura di CID

Terzo classificato “Punti sensibili” a cura di Musah Awudum

Buona lettura!

Napoli, 11 novembre 2021

LONTANO DAGLI OCCHI MA NON LONTANO DAL CUORE

di Joseph Perfection Mabiala-Henri

Comprendiamo il valore di una cosa, una volta che l’abbiamo persa. Questo è ciò che ci porta a capire che dobbiamo vivere ogni momento della nostra vita come se fosse l’ultimo… Del resto, il Covid-19 con i suoi cambiamenti ce l’ha insegnato bene.

Rendersi conto che amiamo è anche accorgersi che si vive e tutto questo dipende dalla nostra capacità di ragionare.

Una mattina del mese di maggio, seduto sul mio letto mentre mi stavo svegliando mi sono messo a pensare ai miei amici e ai bei momenti passati insieme.

Provengo da una famiglia numerosa e mi piace la compagnia. Sono passati quasi dieci mesi da quando sono arrivato in Italia, ed io con gli altri studenti del campus, siamo diventati quasi una famiglia.

C’era fra noi un’atmosfera tale che se qualcuno fosse venuto a trovarci non avrebbe creduto che eravamo insieme soltanto da tre o quattro mesi.

E all’improvviso, è arrivato il Coronavirus (il Covid-19), che ci ha sorpreso e che è venuto come una spina tra ogni relazione. Le scuole hanno chiuso, le chiese chiuse, le frontiere chiuse. Chi ha avuto la possibilità è tornato nel suo paese presso la sua famiglia. Ci è stato imposto il distanziamento sociale…

Io invece, non avendo nessuna famiglia qua in Italia, nel frattempo mi sono ritrovato da solo… Gradualmente ho cominciato a sentire la mancanza di tutti i miei amici del campus, la mancanza dell’Università, della chiesa, di uscire a fare la spesa e di tutte le mie abitudini giornaliere…

Ho cominciato a sentire la mancanza dei miei amici.

Quando ero con i miei amici, qualche volta mi capitava di dire: “Non prendo il caffè ora, perché l’ho già preso tre volte oggi’’. Ma ora vorrei che qualcuno mi chiedesse: ‘’Vuoi un po’ di caffè?’’

Niente più caffè con i miei amici. Non sapevo di amare così il caffè. Avevo imparato a fare il caffè da solo, ma senza loro il caffè non aveva più lo stesso gusto.

Siccome abbiamo una palestra nel campus, facevamo degli allenamenti insieme, giocando pure al calcio o a pallacanestro. Anche se non sempre ne ero entusiasta. Adesso ho scoperto che mi piaceva giocare a pallacanestro, al calcio, cose a cui non davo invece tanta importanza.

Niente più giochi che si facevano ogni sera nel salotto; prima volevo solo guardare i miei compagni giocare, ma ora, quanto desidero che riprendiamo a giocare insieme semplicemente per avere modo di unirmi a loro.

Quando sono arrivato in Italia non ero abituato a ricevere gli abbracci in ogni momento e a darsi dei baci; ma dopo circa tre mesi passati da solo senza nemmeno una stretta di mano, senza questi dolci abbracci fra amici quando ci incontravamo, mi accorgo che non sapevo di amare così tanto gli abbracci…

È diventato il mio sogno e il mio più grande desiderio poter abbracciare di nuovo tutti i miei cari e prenderli tra le mie braccia. Tutto questo è diventato per me come una sfida ed un progetto da realizzare una volta che saremo tornati alla normalità.

Non sapevo di amare gli scherzi. Essendo di natura un po’ timida, sono sempre rimasto muto quando gli altri facevano degli scherzi qualche volta esagerati.

Rimasto da solo, soltanto pensando ai loro scherzi più divertenti, ridevo nella mia camera da letto. E una sera, mentre ripensavo ai loro scherzi, ho deciso che avrei inviato loro un saluto sui social media, che ci tenevano vicini sebbene fisicamente separati e lontani dagli occhi.

È vero che si dice “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, ma io credo che si possa essere lontani dagli occhi ma non per forza lontano dal cuore. Perché i ricordi nella mente ci permettono di essere vicini con l’anima. E solo così si può combattere la disperazione della lontananza.

Quanto mi è mancato mangiare alla stessa tavola con qualcuno. Cucinare da solo e mangiare da solo è stata una brutta esperienza. Mentre mangi, sei fuori di testa a pensare a quando mangiavi con qualcuno a fianco a te, e se non sei abbastanza forte di spirito, non ti viene l’appetito…

Non sapevo di amare vedere la gente sorridere. Ora la mascherina ha tolto il sorriso sul viso di tutti e quando incontro qualcuno per strada, c’è una fobia sociale che ha come conseguenza il fatto che ci allontaniamo gli uni dagli altri e lo sguardo delle persone con la mascherina mi dà l’impressione che tutti ce l’abbiano con me… E poi non si sentono più le persone che al posto di dire “Buongiorno” dicono “Tutt’ a post’?’”

Ho scoperto viaggiando nel metrò che il viaggio è più bello e più sicuro quando siamo vicini gli uni agli altri. Mi è mancato aiutare la gente: come ad esempio quando incontriamo delle persone sconosciute che qualche volta hanno bisogno d’aiuto perché non sanno come convalidare il loro titolo di viaggio oppure conoscono il nome della loro fermata ma non sanno dove scendere.

Anche se non conosco molte cose e anch’io sono nuovo in Italia, mi piaceva condividere la mia piccola esperienza di qualche mese per aiutare la gente che ne aveva bisogno, parlando francese con i francesi, inglesi con quelli che parlano inglese e italiano con gli italiani.

Avendo il mio abbonamento di trasporto (annuale), ho sempre preso l’autobus o la metropolitana per andare in qualsiasi luogo anche vicino (nel senso che si poteva raggiungere a piedi), perché mi preoccupavo sempre del tempo.

Ma durante questa quarantena, quanto mi è mancato fare una passeggiata, approfittare dell’aria fresca, sentire il profumo degli alberi, dei fiori e il vento mentre si cammina; approfittare della natura, e del bel paesaggio che ci offre la città di Napoli; salutare la gente che incontro per strada, offrire il mio sorriso agli altri e riceverne uno in ritorno, ridere ad alta voce…

Non realizzavo l’importanza, direi il beneficio, o piuttosto l’apporto, che mi procuravano queste cose, che facevano parte della mia vita quotidiana. Ma ora posso affermare con certezza che sono cose essenziali della mia vita, che danno il “tono” alla mia vita.

Privato di tutto questo, è stato per me come mangiare il piatto più buono che possa esistere al mondo ma senza il sale; quindi senza sapore.

Qualche volta pensiamo che il lavoro che fa l’altro è semplice e che il nostro è quello più difficile; ma ho scoperto e anche capito che ciascuno ha un ruolo da giocare e ognuno è importante. E questo l’ho realizzato pensando al mio parrucchiere.

Ogni volta che mi reco dal parrucchiere, fissandomi un’idea di come vorrei vedere la mia testa e il mio viso nello specchio, cerco sempre dove sono le imperfezioni, dimenticando che il lavoro fatto con la mano non si può confrontare con quello fatto alla macchinetta taglia-capelli.

Ogni giorno pensavo a quando sarei potuto andare da lui a farmi tagliare i capelli; sebbene abbia imparato a tagliarmi i capelli da solo, provando ad avere sempre la testa rasata. Ho dovuto imparare su internet come tagliarmi i capelli: ma ho capito che non si può paragonare con l’opera che faceva il mio parrucchiere.

Ora posso realizzare che il mio parrucchiere ha sempre fatto un lavoro d’artista incredibile che mi rendeva sempre più pulito e più bello. Quanto mi è mancato!

L’esperienza vissuta in questo periodo, mi ha permesso anche di capire che per valutare meglio un lavoro, bisogna provarci, fare da soli ciò che fa l’altro perché è allora che possiamo meglio giudicare, apprezzare o valutare ogni lavoro.

Mi è sempre piaciuto stare a casa dove mi sento al sicuro, tranquillo, lontano degli incidenti stradali… E mi dicevo spesso che se non ci fossero gli impegni che abbiamo ogni giorno cioè andare a scuola o all’università, al lavoro e così via, sarei rimasto sempre a casa.

Ma dopo aver passato quasi un trimestre nella mia camera da letto, questa mancanza di libertà mi ha fatto vedere la mia camera come una prigione. Ora, posso dire che il mio discorso di prima non è più lo stesso oggi, perché sono stanco e stufo di stare seduto sul mio letto o sulla sedia per ore…

Prendere l’aria sul balcone o alla finestra, non è la stessa cosa di quando lo fai mentre cammini per strada.

Non potevo immaginare che un giorno mi sarebbe mancato camminare, perché camminavo ogni giorno; ma quanto mi è mancata la marcia, sento le gambe così pesanti che non vedo l’ora di camminare per alleggerirle.

Prima ho sempre creduto che si studiasse bene e meglio quando si è da soli in un luogo tranquillo. Ma credo che questo sia il ragionamento di qualcuno che ha sempre l’impressione di essere tormentato dalla presenza degli altri e di poter essere distratto dai discorsi incessabili che si fanno quando ci troviamo in compagnia di qualcuno a cui vogliamo bene. Perché, come ha detto Christian Bobin: «Quando si ama qualcuno si ha sempre qualcosa da dirgli o da scrivergli fino alla fine del tempo». E invece l’atmosfera dell’aula mi è mancata così tanto che ho finito per capire che mi piace andare a scuola non solo per acquisire delle conoscenze nel mio campo di studio, ma anche per ciò che ho in ritorno, di più caro e più speciale ovvero le relazioni, l’amicizia, l’accordo fra noi studenti, e questo per me è la sostanza che mi motiva e mi dà voglia di andare lontano negli studi.

Ho sempre sentito parlare dei corsi a distanza “on-line’’ ma ho capito che non è la stessa realtà, assolutamente no, è completamente diversa da quella in cui ci troviamo tutti insieme nello stesso luogo. L’interazione fra il Professore e gli studenti è insostituibile.

Quanto mi è mancato tutto questo, ma in particolare alcuni momenti, e cioè quando, dopo la lezione camminavo, con i miei compagni di corso fino alla fermata dell’autobus con alcuni di loro e fino alla stazione Napoli Centrale “Garibaldi’’ con altri. Camminavamo parlando di ciò che avevamo fatto durante il corso, per chiarirci meglio le idee e organizzarci per i nostri incontri di esercitazione…

Sono momenti davvero indimenticabili che vorrei rivivere dal prossimo anno (da Settembre o Ottobre).

Ho scoperto che la mia volontà di studiare è anche legata alla sfida che ci facciamo mentre studiamo insieme, questo mi spinge a superarmi, perché privato di tutto questo, ho cominciato a vedere il mio entusiasmo lasciarmi…

Riflettendo su tutto ciò che accadeva, anche se non è stato facile seguire le informazioni sul Coronavirus perché non si riusciva più a fare la differenza fra quelle vere e quelle false, pensando che sarebbe stato davvero la fine per l’umanità, cominciavo davvero a perdere la speranza di non potere più tornare alla normalità e vivere la mia vita libera come ho sempre fatto e come l’ho sempre desiderata.

Ma quello che mi ha permesso di credere che avrò di nuovo questa possibilità di godere della mia libertà e di poter realizzare la mia lista delle cose da fare subito dopo l’emergenza, è un noto proverbio di Marco Tullio Cicerone che afferma: «Finché c’è vita c’è speranza».

Allora mi sono detto che avrei fatto la mia parte rispettando ogni richiesta data dal Ministero della Salute per potere rimanere in vita e non essere colpito dal virus. Pensando che solo facendo così, avrei ritrovato la mia libertà.

Ho capito che ogni giorno passato prima del Coronavirus e le sue restrizioni era una vita libera che condividevamo con il prossimo e tutte le care persone che abbiamo nella nostra vita.

Il Covid-19 ci ha imposto un modo di vivere molto diverso da ciò che l’umanità ha sempre conosciuto e avuto come regole di vita nella società.

Credevo che ci saremmo abituati con il tempo, cambiando lo stile di vita; ma ogni giorno bramiamo di vedere tornare ogni cosa come prima, ovvero alla completa normalità; anche se non dimenticheremo come abbiamo trascorso questo periodo di emergenza.

Quanto ci è costato sacrificare qualche piacere: non potevamo più uscire quando volevamo né comprare tutto ciò che desideravamo. Siamo stati obbligati ad adottare nuovi comportamenti e tutto questo perché l’intero mondo era colpito e coinvolto dalla pandemia.

Tutto era emergenza ̶ priorità ̶ necessità-divieti

Malgrado il fatto che sia stato un tempo difficile da trascorrere, però questa lunga pausa che abbiamo avuto, ci ha permesso di potere rivedere un poco quello ch’erano le nostre attenzioni a quello che ci circondava. Siamo stati costretti a rivalutare tutto quello ch’è la considerazione della vita.

Siccome ogni cosa ha la sua ragione di essere, anche da un’esperienza negativa si può trarre un insegnamento positivo che deve essere visto, sicuramente, come un momento di crescita: dal punto di vista umano, relazionale, sociale o affettivo…

E se si potesse raccogliere ogni punto di vista su «cos’è la vita» dopo quest’emergenza, sono sicuro che avremo molte definizioni e pareri sull’argomento…

Ma una delle definizioni che spiega la vita in poche parole e in un modo straordinariamente profondo è ciò che disse il poeta italiano Salvatore Quasimodo : «Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera».

Perciò, vorrei concludere dicendo che quando abbiamo la possibilità di godere di una vita libera, piena di felicità, approfittiamo di questa opportunità perché non si sa mai quello che potrà succedere il giorno dopo.

Qualche volta, cerchiamo le opportunità e la soddisfazione lontano, mentre sono vicine a noi.

Quello che posso aggiungere è che l’uomo nella sua insaziabile natura pone degli obiettivi, riesce a raggiungerli ma non sa apprezzarli perché ha gli occhi fissi verso l’orizzonte del “non ancora ottenuto” ed ogni volta che gli manca la felicità, si lamenta in ogni momento pensando di soffrire, di non avere quello che serve per essere felice.

Riassumo le mie parole in questo: è quando la sfortuna bussa alla nostra porta che ci ricordiamo che eravamo felici.

La quarantena ci ha reso molto più consapevoli delle piccole cose di cui non ci importava tanto prima che arrivasse la pandemia.

Bere un bicchiere con gli amici, passare del tempo all’aperto e fare un giro insieme, una passeggiata… Erano cose che non apprezzavamo per il loro vero valore.

Eravamo liberi di fare come desideravamo, e ora che queste abitudini sono un ricordo, ci mancano.

Come ha detto Mark Twain: «La vita è breve. Rompi le regole, perdona velocemente, bacia lentamente, ama profondamente, ridi incontrollabilmente e non rimpiangere mai ciò che ti ha fatto sorridere».