Open Arms e i soccorsi in mare

Open Arms e i soccorsi in mare

 

Alla vigilia della Giornata Universale dei Diritti Umani, il 9 dicembre si è tenuto l’incontro online con Valentina Brinis responsabile dei progetti di Open Arms Italia. L’evento, realizzato nell’ambito di Impact Campania, è stato condotto da Giulio Escalona del Consorzio La Rada.

Open Arms (precedentemente Proactiva Open Arms) è un’organizzazione non governativa e senza scopo di lucro nata in Spagna con la principale missione di proteggere in mare le persone che fuggono fuggono da conflitti bellici, persecuzioni o situazioni di povertà per cercasi di raggiungere l’Europa. L’ONG si occupa inoltre di informazione e formazione.

L’attività di Open Arms nel Mediterraneo centrale si concentra sulla sorveglianza e il salvataggio delle imbarcazioni con a bordo persone che necessitano di aiuto, per poterle trarle in salvo e trasportarle poi nel primo “place of safety” disponibile. Un concetto che va al di là della definizione di “porto sicuro” ma che – come spiegato diffusamente nel pomeriggio – definisce un luogo in cui i migranti possano sì essere accolti in sicurezza, ma anche avere la certezza di non essere da lì trasferiti in luoghi o situazioni in cui i loro diritti fondamentali rischino di essere violati.

Open Arms ha attivo anche un progetto in Senegal per informare gli abitanti dei villaggi sui rischi e le modalità reali del viaggio verso l’Europa, rischi spesso taciuti per vergogna o con l’intento di non preoccupare i famigliari. Lo scopo è fare in modo che i potenziali migranti affrontino il lungo viaggio attraverso Sahara, Maghreb e infine Mediterraneo con tutte le informazioni e la maggiore consapevolezza possibile.

Da subito l’organizzazione ha coinvolto nelle sue operazioni fotografi e videomaker perché ha sentito l’esigenza di documentare quel che avviene nel Mediterraneo e mostrare la parte più dura del proprio lavoro. Le immagini, dure ed emozionanti che spesso hanno fatto il giro del mondo, danno direttamente e più immediatamente l’idea di cosa significa salvare le vite in mare. Questo “è anche importante per dare il giusto valore a chi salva vite” e quindi valorizzare i “soccorritori e di chi mette in moto la macchina” dei soccorsi, le loro impressioni e le loro sofferenze. 

E quindi, riprendendo queste immagini, mostrando dati ed esperienze sul campo Valentina Brinis ha mostrato ai partecipanti al webinar il vero aspetto del lavoro su queste imbarcazioni a servizio quotidiano e h24 della vita umana. Un impegno costante che per lo staff – personale nautico e sanitario, mediatori culturali, psicologi, cuochi – porta con sé anche un alto costo emotivo e psicologico. Su tutti loro, peraltro, cade anche il peso della narrazione mediatica sulla percezione delle loro attività. Quello delle ONG è stato al centro di una comunicazione politico-giornalistica che negli ultimi anni ha spesso assunto caratteristiche grottesche, con accuse molto pesanti: celeberrima  ormai l’espressione “taxi del mare”, che sottintendeva connivenza  di base tra ONG e trafficanti di esseri umani. L’esigenza, per Open Arms, è quindi di gettare luce sulle vere dinamiche affrontate dagli equipaggi impegnate in un lavoro di salvataggio che ha permesso, durante 78 missioni, il recupero di oltre 60mila persone. Spesso quando si snocciolano questi grandi numeri si perde anche il loro significato: il numero di persone in questione è maggiore dell’intera popolazione di una media città capoluogo come Benevento.

Ad oggi, comunque, quello di Open Arms è un lavoro svolto in solitaria: è rimasta infatti l’unica ONG che ha ancora imbarcazioni libere di operare in Italia, e solo per un permesso speciale derivante dalle autorità spagnole. Sono nove infatti le organizzazioni a cui è impedita l’operatività a causa degli interventi legislativi cominciati nel 2018 (tra le imbarcazioni bloccate nei porti del nostro paese anche l’unica battente bandiera italiana, Mediterranea).

Se dal 2014, la collaborazione tra organizzazioni non governative e organismi statali era continua e proficua sulle varie rotte mediterranee, specialmente quella del mediterraneo centrale (dalla Libia, verso Malta e Italia), dal 2017 “la campagna denigratoria ha avuto effetti devastanti” ostacolando il più possibile le operazioni delle organizzazioni. “Le ONG diventavano dei testimoni scomodi” di quegli accordi con la Libia che hanno poi portato alla nascita della “guardia costiera”, spesso formata da ex milizie ed accusata da studiosi di violenze di ogni genere.

La fine delle operazioni congiunte e le nuove legislazioni in materia di immigrazione hanno causato effetti pratici notevoli: la riduzione dei salvataggi, ritardi e complicazioni in quelli ancora effettuabili, con un conseguente prezzo in fatto di perdite di vite umane. La ratio dietro i vari provvedimenti era a suo modo “semplice”: l’attività delle organizzazioni solidali promuoverebbe l’arrivo di migranti irregolari via mare. Una tesi non basata su dati reali. “Delle 32.919 persone arrivate in Italia via mare da inizio 2020, solo circa 1300 sono state soccorse da navi umanitarie. Un dato che dimostra come non ci sia alcuna correlazione tra navi umanitarie e arrivi”. Al contempo però, sono oltre 900 (ufficialmente) le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere le coste europee. “È questo ci dice come invece ci sia bisogno dei salvataggi”, ha aggiunto Valentina Brinis.

È bene ricordare che esiste un quadro giuridico internazionale, fatto di convenzioni e consuetudini, che protegge (anzi, proteggerebbe) le operazioni delle ONG dalle tante iniziative nazionali volte a limitarne l’azione. La prima legge del mare è quella di proteggere la vita umana, al di là di qualsiasi status giuridico del naufrago, e gli accordi internazionali firmati nel corso del XX secolo impongono che tutti i naufraghi siano riportati in luoghi sicuri dove, oltre a veder salva la vita nell’immediato, possano veder tutelati i propri diritti sul lungo periodo.

Qualsiasi iniziativa contraria a questo scopo va contro tradizioni e norme che dovrebbero essere patrimonio comune.

In un quadro in lenta ma continua evoluzione, e alla vigilia della partenza della 79esima missione in mare, cosa chiede dunque Open Arms?

Innanzitutto che si ritorni ad operazioni implementate di concerto tra stati e ONG volte a salvare quante più vite possibile, mettendo però in campo una iniziativa dell’Unione Europea. È inoltre necessario lavorare per canali di ingresso legali e sicuri. Il suggerimento di Brinis è quello di guardare al Passport Index, un “catalogo” della forza dei passaporti nazionali. Con pochi click è infatti possibile constatare, dati alla mano, come per la stragrande dei migranti sia impossibile, ad oggi, emigrare legalmente o anche solo chiedere un visto turistico per i paesi occidentali.

Tra le ultime iniziative di Open Arms c’è l’istituzione, di concerto con l’attivista ed ex parlamentare Luigi Manconi, del “Comitato per il diritto al soccorso”. Il comitato, formato da giuristi e intellettuali (citiamo Vladimiro Zagrebelsky, Federica Resta, Paola Gaeta, Armando Spataro e Sandro Veronesi), ha tre obiettivi principali:

  • contribuire al formarsi, nell’opinione pubblica italiana ed europea, di un orientamento di sostegno all’attività di salvataggio in mare;
  • agevolare le relazioni tra le ONG e le istituzioni nazionali per ricostituire condizioni minime di operatività e di collaborazione;
  • promuovere una discussione pubblica intorno al tema del diritto al soccorso, come principio irrinunciabile di civiltà giuridica e come legge universale fondata sul diritto del mare e sul diritto internazionale.

Per sostenere le attività di Open Arms è possibile effettuare una donazione o sostenere le loro campagne, l’ultima delle quali è “Don’t feed the haters, feed the compassion”. Ideata da Albenty, pseudonimo del costumista e scenografo Alessandro Bentivegna, “Don’t feed the haters” è la campagna contro la divulgazione dell’odio sui social che vuole orientare le nostre azioni al valore fondamento della nostra civiltà: la compassione.

 

L’iniziativa è promossa nell’ambito di Impact Campania, progetto nato con lo scopo di favorire l’integrazione dei cittadini stranieri sul territorio regionale. Impact Campania è finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione ed è realizzato dalla Regione Campania, capofila, e da un ampio partenariato di enti istituzionali e del terzo settore (Anci Campania, Cantiere Giovani Cooperativa Sociale, CIDIS Onlus, Consorzio La Rada, Cooperativa Sociale Credito Senza Confini, Dedalus Cooperativa Sociale, Less Impresa Sociale, LTM – Gruppo Laici Terzo Mondo,  Tertium Millennium Società Cooperativa Sociale, Traparentesi Onlus).

 

 

11 dicembre 2020