“Noi” e “Loro”: siamo tutti stranieri agli occhi degli altri

Continuano le esperienze di condivisione tra i volontari del progetto DREAMM di Cidis. Progetto che propone occasioni di incontro e di scambio tra persone che vivono su un territorio da sempre e quelle che arrivano, ciascuna con le sue storie e le sue ambizioni.
Tra le persone che partecipano al progetto emerge la voglia di raccontare questa esperienza. Lo scorso luglio, abbiamo accolto su Stranieriincampania la testimonianza di Annapaola ed oggi pubblichiamo le riflessioni di Raffaele anche lui mentor volontario di DREAMM.
Buona lettura!

Perché ho scelto di partecipare al progetto DREAMM
La mia esperienza di volontariato con DREAMM ha inizio circa 3 mesi fa. Ciò che mi ha spronato a prendervi parte è stata principalmente la voglia di mettermi in gioco, capire se il mondo verso il quale conduce il mio percorso di studi sia davvero quello con cui voglio confrontarmi. Ebbene, questa esperienza mi ha dato conferma che la strada è quella giusta. La sfida, ora, è capire quale delle tante diramazioni di cui è fatta percorrere.

Cosa ho imparato dagli incontri di gruppo italiani e stranieri
Ad oggi, invece, se c’è un insegnamento in particolare di cui ho fatto tesoro è la consapevolezza che anche noi, come società di accoglienza, siamo stranieri agli occhi degli altri. Sarà banale, ma spesso dimentichiamo che, in fondo, “loro” guardano “noi” allo stesso modo in cui “noi” guardiamo “loro”: con gli occhi di uno straniero, non privi di pregiudizi e luoghi comuni.

Di qui, l’importanza del confronto, che permette di scendere dal piedistallo e mettersi sullo stesso piano, di calarsi nei panni dell’altro e capire cosa significa, seppur in minima parte, sentirsi stranieri. Nei primi incontri, ad esempio, accadeva che le persone provenienti da uno stesso paese o che condividevano la stessa lingua, facessero gruppo, come normale che sia. Come italiano, trovavo spesso difficile interagire, crearmi uno spazio in cui poter intervenire. Proprio in momenti come questo, mi sono chiesto: «È così che ci si sente? È questo l’atteggiamento che il più delle volte assumiamo nei loro confronti?». Se questo episodio viene applicato su larga scala e a ruoli invertiti, dove la maggioranza siamo “noi”, mi rendo conto di come sia spesso difficile gettare le basi per costruire un percorso di integrazione nella vita di tutti i giorni.

Per questa ragione, gli incontri organizzati a Casa CIDIS sono stati utili per fare comunità e anche per normalizzare le “diversità”. Occasioni come gite fuori porta o workshop su come fare un CV, ad esempio, li ho vissuti come momenti che coinvolgono tutti in egual misura, dove il Paese di provenienza, la lingua che parli e la tua cultura passano in secondo piano, non perché non siano importanti, ma perché in quel momento contano poco per lo scopo dell’evento. Di conseguenza, quello che ho imparato non è tanto abbattere le differenze, quanto piuttosto normalizzarle.

Riflessioni sulla mia attività di supporto scolastico
Un ulteriore riflessione che mi sento di fare riguarda l’attività di supporto nello svolgimento dei compiti scolastici per due ragazzi stranieri, a cui mi sono dedicato. Si tratta di liceali, con una conoscenza più o meno intermedia della lingua italiana. Ragazzi che hanno un grande potenziale (non sono nessuno per dirlo, ma questa è stata la mia più sincera impressione) e che se avessero una conoscenza più approfondita della lingua, potrebbero esprimerlo appieno. Non so se sono riuscito ad insegnare qualcosa nelle poche occasioni che abbiamo avuto, ma sicuramente io ho imparato qualcosa da loro: ho imparato a non dare per scontato le conoscenze da loro già possedute, che se valorizzate, possono rivelarsi utili per facilitare lo studio; ho imparato ad accettare che la loro visione su alcune questioni è completamente diversa dalla mia e che nonostante ciò, si può tranquillamente andare d’accordo; ho imparato come la scuola (sono fiducioso si tratti di casi
isolati) affronti temi come l’alterità e l’integrazione, dando poco spazio alla letteratura migrante o alla storia di Paesi non occidentali ad esempio, limitandosi a programmi classici.

Infine, concludo le mie riflessioni ed impressioni con un aneddoto. Sono rimasto sorpreso da come alcune materie scolastiche possano effettivamente trarre in inganno: «Che senso ha chiamare una materia “arte” se si studiano solo quadri e sculture? Arte è anche musica, teatro, cinema, fotografia… non capisco». Insomma, dopo aver studiato storia dell’arte per 8 anni, tra scuole medie e superiori, mi stupisco di come non abbia mai riflettuto sulla questione.

Nulla di serio, ma queste piccole osservazioni fanno riflettere su come diamo per scontato anche le cose che riteniamo essere più sciocche e banali.

Per saperne di più sul progetto DREAMM è possibile compilare il form disponibile qui oppure chiamare il numero 0815571218.

Napoli, 15 settembre 2022