Sei anni fa la strage di Lampedusa

 

386 morti accertate, 20 dispersi presunti, 155 superstiti. Sono questi i numeri di una delle maggiori stragi avvenute nel Mediterraneo dal secondo dopoguerra.

Era la notte del 3 ottobre 2013, quando un peschereccio partito da Misurata con a bordo più di 500 profughi, soprattutto eritrei in fuga dalla dittatura, si capovolse davanti l’Isola dei Conigli, a pochi metri dalle coste di Lampedusa, per poi affondare. Non appena si accorsero della tragedia alle prime luci dell’alba, imbarcazioni civili e pescherecci lampedusani si precipitarono in mare per prestare i primi soccorsi ma fu subito chiara la dimensione della tragedia: quasi 200 cadaveri furono recuperati già nelle prime ore e la conta dei morti continuò nei giorni a venire. Molte le polemiche per i presunti ritardi della Guardia Costiera italiana che le cronache riportano essere intervenuta oltre un’ora dopo i fatti, sebbene nessuna inchiesta ha accertato responsabilità dell’autorità.

L’allora sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, definì “un tappeto di carne umana” le centinaia di corpi di donne, uomini e bambini che coprivano una delle spiagge dell’isola. Non fu possibile l’identificazione di tutte le vittime, che ora riposano in vari cimiteri siciliani, dopo una cerimonia funebre tenutasi alla fine del mese ad Agrigento.

Politica e opinione pubblica, lontani i tempi della criminalizzazione dei salvataggi in mare, furono molto scosse dalla tragedia. 

L’allora presidente del consiglio Enrico Letta si recò in visita a Lampedusa, inginocchiandosi davanti alle bare delle vittime, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dichiarò di provare “vergogna e orrore”, richiamando a una revisione delle leggi sull’accoglienza, e con toni simili si espresse il presidente della Commissione UE Barroso che stanziò più fondi per assistere l’Italia nell’accoglienza dei rifugiati.

Subito dopo i fatti venne lanciata l’Operazione Mare Nostrum, una vasta missione di Marina e Esercito per il salvataggio in mare dei migranti che cercavano di attraversare il Canale di Sicilia dalla Libia verso le coste europee (Mare Nostrum fu in seguito sostituita Frontex Plus, attuata però con lo scopo di controllare le frontiere dell’Unione).

Durante le manifestazioni studentesche di quell’autunno, ci furono molte proteste per chiedere la revisione o l’abrogazione delle leggi Bossi-Fini e del decreto Maroni.

Per il coraggio dei pescatori e di semplici cittadini dimostrato nel salvataggio dei naufraghi, il settimanale L’Espresso lanciò una campagna per promuovere la candidatura di Lampedusa al Premio Nobel per la Pace.

Infine, su proposta del “Comitato Tre Ottobre” – nato per ricordare la strage – venne approvata la Legge 45 del 2016 che istituisce la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione “Al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”.

A sei anni da quella terribile notte, alle 3.30 in Piazza Piave a Lampedusa, si è tenuta una veglia con parenti delle vittime, sopravvissuti e cittadini davanti al memoriale “Nuova Speranza”, il monumento che riporta i nomi di quanti hanno perso la vita. 

Oggi è inoltre arrivata sull’isola una delegazione di oltre duecento studenti provenienti tra l’altro da Spagna, Regno Unito, Romania, Finlandia e Francia, per ricordare le vittime e incontrare i sopravvissuti. Insieme, studenti, cittadini e istituzioni marceranno verso la “Porta d’Europa”, dove verrà lanciata una corona di fiori in mare in ricordo delle vittime del 3 ottobre 2013. 

Ma è in tutta Europa che si commemora la tragedia: in oltre trenta città ci saranno iniziative  di commemorazione per chiedere che anche a livello comunitario il 3 ottobre diventi Giornata europea della Memoria e dell’Accoglienza.

Intanto i migranti continuano ad arrivare con imbarcazioni di fortuna sulle nostre coste (l’ultimo sbarco proprio durante le commemorazioni). Privi di canali di ingresso legali e ostaggio di trafficanti senza scrupoli, affrontano il viaggio in situazioni di assoluta precarietà e pericolo, con le Ong cui è ancora formalmente impedito il salvataggio in mare. Secondo Fondazione Ismu, solo negli ultimi sei anni sono oltre 19mila i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo tentando di raggiungere l’Europa.