L’ambulatorio di Dermatologia etnica del Policlinico di Napoli nelle parole dei suoi dirigenti

Al Policlinico dell’Università Federico II di Napoli, esiste un ambulatorio di dermatologia etnica, specializzato nella cura e nella prevenzione delle patologie della pelle nei pazienti di diverse etnie.

L’ambulatorio è nato circa due anni fa su iniziativa del direttore della Clinica Dermatologica dell’Università, il professor Mario Delfino, che abbiamo avuto il piacere di incontrare nei suoi uffici al Policlinico.

“Chiaramente avevamo già pazienti provenienti da tutto il mondo, ma ho sentito l’esigenza di creare una struttura del genere a partire dall’esperienza registrata in altri paesi occidentali multietnici”. Il professore fa l’esempio degli Stati Uniti, dove esistono da decenni, nei trattati di dermatologia, capitoli dedicati alla pelle scura, proprio per le specificità di quella tipologia di cute. “Esiste inoltre la necessità di affrontare la medicina anche con specifiche competenze dovute alle differenze culturali. Differenze che sono già visibili anche all’interno del nostro Paese, ad esempio tra nord e sud, ma che assumono particolare incidenza tra gruppi culturali molto distanti”.

Dal punto di vista strettamente medico, nella dermatologia assume particolare importanza l’osservazione morfologica. La difficoltà di riconoscere sintomi su pelli diverse da quella chiara, tipicamente occidentale, è data dalla non immediata riconoscibilità dei segni sul tessuto epidermico e richiede quindi uno studio più specialistico. Da qui la creazione di un ambulatorio specializzato a partire dalla provenienza dei pazienti e dalle loro caratteristiche cutanee, facendo però attenzione, sottolinea il professore, a non confondere esigenze puramente scientifiche con il concetto di differenza razziale: “Non esistono razze diverse, ma solo specificità che devono essere affrontate in medicina, la razza è solo quella umana”.

Delfino è affiancato da un gruppo di medici di grande esperienza “Dalla direzione sanitaria ho ottenuto che con me venissero dei professionisti attivi da anni nel settore come Nicola Di Caprio, Francesca D’Anna, Riccardo Acri e Patrizia Forgione”.

“Dall’inizio – continua Delfino – ho chiarito però che questo doveva essere un semplice ambulatorio di prima accoglienza e smistamento. Volevamo evitare che diventasse un ghetto, una struttura di cura dedicata solamente ai migranti.” Con l’aiuto di un mediatore culturale, infatti, una volta riconosciute le patologie, si indirizzano i pazienti negli usuali circuiti di cura comuni a tutti cittadini.

Nel corso della nostra conversazione, Mario Delfino si entusiasma, sottolinea più volte l’obiettivo etico dell’ambulatorio e, per estensione, dell’intero Sistema sanitario italiano, tra i più aperti e democratici del mondo. Curare tutti, a prescindere dalla provenienza geografica o dallo status sociale, nell’interesse del singolo paziente ma anche dell’intera comunità. “L’azione medica sul singolo si riverbera sull’intera società, soprattutto nel caso di malattie contagiose, tra cui quelle sessualmente trasmissibili”, la cui incidenza, ci spiega, aumenta sempre più e non certo per l’arrivo di migranti in Italia, quanto piuttosto per i comportamenti a rischio degli italiani, o per il turismo sessuale in paesi a rischio.

L’equipe di dermatologi impegnati nell’ambulatorio è al lavoro anche per creare progetti di medicina di prossimità rivolti a gruppi caratterizzati da disagio socio-economico e da scarsa conoscenza dei servizi, per attivare percorsi di diagnosi, di cura e di prevenzione delle malattie della pelle andando direttamente nei luoghi di aggregazione e di frequentazione. È inoltre in via di realizzazione un progetto per creare una rete che coinvolga associazioni e mediatori culturali: una sorta di formazione per le persone impegnate nel sociale che hanno la possibilità individuare e riconoscere tempestivamente determinati sintomi e indirizzare i soggetti interessati verso i canali di cura più adeguati.

È chiara comunque l’impostazione umana ed etica alla base del lavoro di questi medici, un approccio che vuole raggiungere quante più persone possibile e superare le difficoltà culturali tecniche, burocratiche e finanziarie di cittadini, migranti e non, in situazioni di marginalità o difficoltà. “Il nostro obiettivo resta comunque ordinario: formare dei professionisti per una società multiculturale”. 

Proprio sull’aspetto formativo, abbiamo ascoltato la professoressa Gabriella Fabbrocini, Direttrice della Scuola di specializzazione in Dermatologia e Venereologia dell’Università Federico II di Napoli. La professoressa Fabbrocini ha posto l’accento sul valore formativo dell’ambulatorio per i giovani medici: “L’importanza di questo ambulatorio sta soprattutto nel fatto che formiamo dermatologi globali, in grado di accogliere e curare pazienti di tutte le etnie, con le peculiarità che la loro cute possiede. Se è già complesso fornire diagnosi sulla pelle occidentale, lo diventa ancora di più su cuti diverse. Anche una micosi può risultare difficile da diagnosticare su pelle scura. Diventa particolarmente interessante, per gli specialisti che si formano alla Federico II, confrontarsi con patologie più o meno abituali, che si presentano su pazienti di diversi gruppi etnici.”

L’importanza dell’Ambulatorio di Dermatologia Etnica risiede peraltro in due ulteriori aspetti: l’essere uno dei pochi esperimenti del genere in Italia e l’avere a disposizione un target molto ampio per via della composizione particolarmente eterogenea della popolazione migrante residente in Campania.

“Chiaramente – aggiunge – crediamo anche molto nella valenza sociale del progetto, ma questo è valido per tutti gli altri nostri progetti. Vogliamo aprirci alla società, rendere cure e diagnosi accessibili a tutti soprattutto in un momento storico in cui la gente spesso rinuncia a curarsi”

La dottoressa fa riferimento ad alcuni recenti studi che evidenziano come, a causa delle ultime crisi economiche, fasce sempre più ampie della popolazione scelgano di non curare alcune malattie “Tra una polmonite e un neo sospetto molti sceglieranno di pagare il ticket per curare la polmonite. Ma non dobbiamo dimenticare che il melanoma è il secondo tumore più presente negli uomini e il terzo nelle donne nella fascia 0-49 anni.”

‘Dermatologia etnica’, quindi, ma anche ‘dermatologia sociale’: “Il nostro scopo sul medio termine è creare protocolli che possano essere utili all’intera comunità. Essere aperti al territorio, senza distinzioni. Questo è un mondo in cui siamo tutti migranti. Una medicina intesa in questa maniera, che raggiunga gruppi etnici e sociali quanto più ampi, ha un senso culturale più profondo. Oltre la provenienza, oltre la patologia, curiamo l’essere umano. Con la persona al centro, recuperiamo la visione umanistica della medicina”.

Prima di congedarci, chiediamo alla professoressa delle collaborazioni con gli altri istituti sanitari del territorio, in special modo in relazione alla cura di quei migranti che – provenienti da zone di guerra – riportano sul corpo gravi cicatrici. “L’unità di dermatologia lavora a stretto contatto con quella di chirurgia plastica ospedaliera. Collaboriamo anche con il Centro grandi ustioni dell’Ospedale Cardarelli. Il nostro obiettivo, comunque, è lavorare con tutte le strutture del territorio e cercare sempre soluzioni innovative utili ai nostri pazienti. 

Collaboriamo con tutti, perché da soli non si va da nessuna parte.”.

L’Ambulatorio di dermatologia sociale etnica è aperto ai cittadini stranieri di tutte le età, con o senza permesso di soggiorno, il lunedì, mercoledì e il venerdì dalle 9.00 alle 13.00, presso l’edificio 10 del Policlinico dell’Università Federico II di Napoli. 

Per informazioni: Tel: 081746-2450, dermatologiasocialeetnica.unina@gmail.com