“La giusta rotta”: a Napoli si discute di corridoi umanitari

“La giusta rotta”: a Napoli si discute di corridoi umanitari

 

E’ stata presentata sabato scorso, all’Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo, la campagna di sensibilizzazione  “La giusta rotta”, nata per promuovere il diritto al soccorso, il diritto ad un’accoglienza degna e per ribadire la necessità di costruire corridoi umanitari. Presenti alla conferenza Giorgia Linardi della Sea Watch, Francesco Piobbichi di Mediterranean Hope FCEI, Riccardo Gatti di Open Arms, Mariema Faye del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli,  Thessie Mueller, pastora della Chiesa Valdese, e l’Assessora alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, Laura Marmorale.

Al centro della discussione i corridoi umanitari, premiati di recente dall’UNHCR che ha riconosciuto all’iniziativa promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, CEI-Caritas Italiana, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) il merito di aver assicurato a migliaia di rifugiati un canale sicuro per ricevere protezione e la possibilità di ricostruirsi un futuro migliore in Italia. 

A raccontare l’iniziativa Francesco Piobbichi: “Ragionare sui corridoi umanitari proposti da questa campagna significa ragionare sui diritti. Dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, noi come Chiese, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, abbiamo deciso di lasciare un segno, di costruire una visione diversa, e abbiamo pensato di istituire corridoi umanitari. Siamo partiti tre anni fa dal Libano,  così siamo riusciti a portare in sicurezza in Italia oltre 2mila persone accolte da noi con dignità, senza alimentare le mafie. Con i corridoi umanitari abbiamo dimostrato che è possibile avere una gestione diversa delle frontiere”.

Tra i sostenitori dell’iniziativa anche le ong Open Arms e Sea Watch che hanno raccontato la campagna di criminalizzazione della solidarietà  portata avanti negli ultimi mesi. Una “narrazione tossica” con lo scopo di creare diffidenza nei confronti dei volontari che operano ogni giorno in prima linea prestando soccorso in mare. Su questo punto Piobicchi chiarisce: “Io sono contento di costruire e portare avanti questa campagna con chi salva vite. In qualche modo noi dobbiamo intervenire sul problema alla radice: evitare che le persone prendano la via del mare, che finiscano su quei gommoni mezzi sgonfi. Dobbiamo costruire vie di accesso legali e portare avanti una discussione politica in Europa che affermi che, prima di tutto, il problema non sta in mezzo al Mediterraneo ma sta in Libia, in Turchia, in Tunisia, in Marocco. L’idea dei corridoi umanitari significa costruire una visione diversa di frontiera con progetti e pratiche reali, uscendo da quel clima d’odio in cui la miseria è diventata una colpa e la ricchezza un valore”.

Creare un corridoio umanitario direttamente dalla Libia è un altro obiettivo della campagna “La giusta rotta”, anche se appare particolarmente difficile finché sarà riconosciuta area SAR dai governi europei. Sul tema è intervenuta Giorgia Linardi: “La cosa importante da fare è creare corridoi umanitari dalla Libia, che è un Paese da ricostruire e da stabilizzare, ma questo è un processo lungo, che richiede tempo. Oggi la Libia è un Paese da evacuare e per farlo bisogna creare delle vie sicure e legali come i corridoi umanitari. Mediterranean Hope e la Chiesa valdese lo sanno fare. Ma finché ci sono persone in mare è necessario soccorrerle, senza criminalizzare chi lo fa”. 

Nel frattempo, infatti, resta all’ordine del giorno il problema del soccorso in mare, come sottolinea Riccardo Gatti: “Soccorrere le persone in mare non è una scelta, è un obbligo. Non solo un obbligo morale, ma normativo, dettato dalla normativa internazionale. I Governi che vengano a sapere di persone in pericolo, devono attivarsi per offrire supporto ai comandanti delle navi per raggiungere prima possibile un porto sicuro”.

Sulla stessa linea anche Giorgia Linardi: “E’ vero noi salviamo vite in mare, è un dato di fatto, perché tante persone se non le avessimo trovate in fondo al mare sarebbero morte oppure riportate in Libia. E non ci vergogniamo di dirlo: qualche volta sembra di fare una caccia all’uomo, cerchiamo di prendere queste persone prima che le prendano i libici. Veniteci a dire che sbagliamo! Ma è una vittoria a metà se nel momento in cui queste persone sono soccorse devono stare a friggere 15-20 giorni sul ponte delle nostre navi e  una volta sbarcati a terra vengono  abbandonate a loro stesse”. 

In chiusura l’Assessora alle Politiche Sociali, Laura Marmorale, ha voluto ribadire la necessità di una nuova legge nazionale sull’immigrazione che metta al centro le persone e non la sicurezza pubblica: “Non possiamo pensare che riattivare gli Hot Spot o i Cas rappresenti una soluzione. In Italia abbiamo una legge vecchia di 18 anni, completamente inadeguata. Dovremmo fare in modo che la gestione dei flussi migratori passi in mano al Ministero per le Politiche sociali e non al Ministero degli Interni, perché dobbiamo fare in modo che non ci sia più il parallelismo tra migrazione e ordine pubblico.”