Fumetti, intercultura, femminismo. Intervista a Takoua Ben Mohamed

Fumetti, intercultura, femminismo. Intervista a Takoua Ben Mohamed

Takoua Ben Mohamed è nata a Douz in Tunisia nel 1991 ma è cresciuta a Roma. Qui da bambina ha raggiunto il padre esiliato in quanto oppositore dell’allora presidente Ben Alì. Takoua una graphic journalist e sceneggiatrice, attiva nella promozione del dialogo interculturale sin da quando a 14 anni ha creato “Il fumetto intercultura”. Nonostante la sua giovane età ha ricevuto molti e importanti riconoscimenti tra cui il Premio Prato Città Aperta e il Premio Speciale Moneygram Award 2016. 

Incuriositi dalla suo produzione artistica e dalla sua storia, abbiamo deciso di intervistarla.

 

Come nasce il tuo impegno artistico? C’è qualche artista o fumettista che ha ispirato il tuo lavoro?

In realtà non leggevo fumetti, quindi no. Vedevo però molti film di animazione e di impegno sociale. Ho iniziato molto presto con l’attivismo politico e il volontariato. A dieci anni già seguivo la mia famiglia che da sempre è impegnata politicamente. Mi sentivo parte di qualcosa di ‘più grande’. Ho conosciuto persone che avevano qualcosa da raccontare. Di conseguenza mi sono resa conto che anche la mia storia non era banale, meritava a sua volta di essere raccontata, così come la realtà che mi circondava.

Takoua comincia in quel momento a raccontare con i fumetti. Finché, quando ancora aveva 14 anni, grazie all’interessamento di alcuni professori universitari alcuni di  questi non vengono pubblicati all’interno di alcuni testi accademici. “Solo dopo ho cominciato a pubblicare sui social network e da lì sulle prime riviste.”

© Takoua Ben Mohamed per gentile concessione

Nelle tue illustrazioni, spesso descrivi le incomprensioni culturali e le diffidenze nei confronti della comunità islamica. Come è stata accolto questo tuo modo di raccontarle in famiglia e nella tua comunità?

Dalla mia famiglia benissimo, mi hanno sempre appoggiato e spinto a disegnare i miei fumetti. Io all’inizio non ci credevo abbastanza, volevo studiare chimica, biologia. Ma alla fine ho realizzato che era la mia strada e mi sono iscritta all’Accademia. 

Questa scelta l’ha spinta a raccontare sempre più, ad affrontare con l’ironia che la contraddistingue le piccole grandi discriminazioni, le differenze culturali in cui si inciampa di continuo nel nostro paese. Un’ironia che si fonde con una serietà e caparbietà che si riverberano nel tono della sua voce mentre racconta la sua storia con passione e trasporto. “Al di fuori della famiglia qualcuno banalizzava quello che facevo ma io non mi faccio influenzare facilmente. Il fatto che molti si immedesimassero nelle mie storie mi ha dato la spinta ad andare avanti nonostante le critiche.”

I suoi fumetti sono stati un strumento anche per confrontarsi con persone con storie e ideali politici più conservatori, apparentemente distanti dalle idee di integrazione che Takoua propone. “Sono riuscita a creare un dibattito costruttivo su immigrazione, integrazione e cittadinanza, soprattutto con le generazioni più giovani ho potuto confrontarmi in termini costruttivi.”

Paradossalmente è con quanti, teoricamente più progressisti e liberali, che Takoua ha avuto più motivi di scontro. La sua scelta di indossare il velo, e di raffigurarlo nelle sue illustrazioni, ha attratto le critiche di quanti vedono questa scelta come una negazione dei diritti sulle donne.  “Ho deciso di indossare il velo a 12 anni. È stata una scelta personale su cui anche mio padre – che è un Imam – si era detto contrario perché ero troppo giovane, perché non sapevo cosa significasse e, quello che più mi è rimasto impresso, ‘perché non sai a cosa stai andando incontro’”. 

Era il periodo immediatamente successivo l’11 settembre, in Italia e in tutto l’occidente il clima di sospetto e discriminazione verso i cittadini islamici aveva raggiunto un livello mai visto prima. Takoua però aveva scelto di indossarlo, con quell’indole ribelle che la caratterizza e che ha evidentemente ereditato dalla sua famiglia di attivisti.

Ancora oggi la mia scelta mi causa le critiche da quel mondo femminista occidentale e “bianco” che vede tutte le donne come persone da salvare. C’è la negazione di qualsiasi altro tipo di femminismo. Ma tra le nuove generazioni c’è anche spazio per un femminismo nero, islamico, lontano dall’approccio eurocentrico che vorrebbe negare la scelta – libera – di indossare il velo. Io lotto per questa libertà.

© Takoua Ben Mohamed – per gentile concessione

 

Forse anche per questa ragione, per la difficoltà di rapportarsi a persone le cui idee sono già formate e poco propense a mettersi in discussione che Takoua ha scelto ultimamente di dedicarsi agli incontri con le nuove generazioni, nelle scuole medie e superiori e nelle università.

Mi sono resa conto che in queste situazioni il pubblico è più variegato e si genera più dibattito, c’è uno scambio maggiore. Quando andavo a scuola ero l’unica straniera in classe ma ormai queste ragazze e questi ragazzi sono abituati  alla diversità culturale.

Se i giovani sono ormai abituati a queste “diversità”, pensi che sia possibile, a breve o medio termine, che venga finalmente considerato normale che ci siano italiani dalla pelle nera o musulmani? 

Guarda, io sono la persona più ottimista di questo mondo! Devo dire però che non credo che questo possa avvenire nel prossimo futuro… forse tra vent’anni. Se gli italiani non si mettono in gioco, è impossibile. Ho l’impressione che gli italiani non vogliano mettersi sullo stesso piano degli stranieri. Certo, sotto alcuni punti di vista l’Italia è messa molto meglio di altri paesi d’Europa, come la Francia o la Scandinavia, qui non esistono banlieue. Ma va superato quell’etnocentrismo che rimane anche nelle fasce di popolazione più “avanzate”, quella grande ipocrisia che c’è anche tra i più progressisti.

© Takoua Ben Mohamed – per gentile concessione

Discutiamo dell’assenza nella politica nazionale di figure di primo piano di prima o seconda generazione, anzi della loro quasi totale assenza nelle istituzioni  nazionali (e nei sindacati e nelle associazioni). Le seconde generazioni partecipano alla vita politica del paese?

Certo che sì! e infatti molti consiglieri comunali sono figli di immigrati. Molti non arrivano ai livelli più alti o per problemi di cittadinanza o perché, ho l’impressione, vengano inseriti nelle liste per le elezioni solo “per apparenza”, senza alcuna reale possibilità di essere eletti.

Takoua Ben Mohamed è certamente un’artista impegnata e lo si nota sia dalle sue vignette apparentemente più leggere sia dal suo ultimo libro edito da Beccogiallo, casa editrice padovana specializzata in opere di graphic journalism: “La rivoluzione dei gelsomini”. 

Hai qualche nuova opera in cantiere?

Sto lavorando a un nuovo progetto dove tornerà la protagonista del mio primo libro, Sotto il velo. Lì raccoglievo alcune strisce con un tono più spensierato, nel nuovo libro affronterò il tema dell’informazione e delle sue dinamiche. Voglio esplorare il tema delle fake news, come riconoscerle, come proteggersi dalla manipolazione della stampa. Credo sia importantissimo per le nuove generazioni. I giovani devono imparare a leggere una notizia, riconoscere il disegno politico che può nascondersi dietro alcune narrazioni.

 

© Takoua Ben Mohamed – per gentile concessione

 

 

Takoua Ben Mohamed è su Facebook e Instagram. I suoi libri sono editi da Beccogiallo.

 

Stranieriincampania ringrazia Takoua Ben Mohamed per le illustrazioni presenti a corredo dell’articolo.