Da Tina e Angelo ai Quartieri Spagnoli c’è la ricetta per l’integrazione 

 

La bottega di ortofrutta di Tina e Angelo è considerata una vera istituzione nei Quartieri Spagnoli di Napoli, non solo per i prodotti freschi, ma per le numerose iniziative che propongono all’interno del negozio di vico Lungo Gelso coinvolgendo tutto il quartiere. Tra queste spunta il corso di cucina per stranieri che Tina organizza da molti anni con il supporto del marito. Una volta a settimana la coppia accoglie chiunque abbia voglia di cimentarsi nelle ricette tipiche napoletane e non solo, allestendo una piccola cucina al centro del locale. Incontriamo Tina e Angelo un martedì pomeriggio di gennaio al termine della lezione su come preparare le chiacchiere per il carnevale ormai alle porte. Ogni tanto qualche cliente entra per la spesa e “approfitta” del vassoio di prelibatezze che Tina porge loro con il sorriso, mentre Angelo ci mostra con orgoglio le foto delle loro iniziative dal 2002 ad oggi affisse alle pareti in una stanza del magazzino. Il loro messaggio è chiaro e semplice: fare del bene divertendosi. Il corso di cucina diventa così un momento di condivisione di sapori, di ricette e anche di culture.  

Ciao Tina, ci racconti come nasce l’idea dei corsi di cucina per stranieri?

Devi sapere che noi siamo considerati i festaioli del quartiere, io e Angelo stiamo insieme da 35 anni e lui ha ereditato questo negozio dal suo papà ed è qui da quando era piccolo. I Quartieri all’epoca non erano così belli come adesso, ma erano a rischio. Quando la mattina aprivamo poteva capitare che ci fosse qualcuno che ci desse fastidio, però non abbiamo mai perso la voglia di investire sui Quartieri. Certe volte ci capita che la gente ci chieda perché lo facciamo e in realtà non so rispondere a questa domanda. Considerate che comunque dobbiamo sostenere spese e poi investire la nostra energia. Angelo si sveglia alle 3.30, io un po’ più tardi, ma comunque alle 5 di mattina, però la gente ci dà la forza di andare avanti. 

Intorno a questo tavolo si ferma gente da tutto il mondo, sono appena andati via due turisti che venivano da Vienna, ognuno viene e porta un pezzo della sua storia. Chi partecipa tassativamente non paga e non è che sono costretti a comprare anche perché il camion è quello e la nostra clientela ce l’abbiamo. Un po’ del nostro tempo lo mettiamo a disposizione degli altri, questa è la semplicità. Poi c’è un antropologo che ha parlato di noi all’Università Suor Orsola Benincasa, hanno fatto delle tesi su di noi, ma noi ci divertiamo punto e basta. Io non so come spiegarlo, la mia difficoltà non è nel farlo o nel mettermi a disposizione per gli altri, mi riesce più difficile spiegarlo. Mi fa piacere che parlino di noi, che arrivino i giornalisti, addirittura è venuta una televisione dal Giappone, però mi chiedo: è possibile che una cosa così semplice faccia notizia? Il mondo non ha frontiere e sta cambiando, noi non vogliamo rendercene conto e restiamo attaccati alle differenze. Noi siamo tutti uguali. 

Angelo interviene nella conversazione e ci racconta:  La prima volta sono venute delle cinesine che studiavano all’Orientale, volevano imparare a fare le zeppoline ed altre cose, mia moglie gesticolava, ma era inutile perché non capivano. Allora le dissi di prendere direttamente un appuntamento per il giorno dopo e di farle insieme, così è nata questa cosa. Il giorno dopo sono venute e si sono messe ad impastare insieme a mia moglie. Poi siccome stavano in Erasmus sono rimaste un po’ di tempo e sono tornate varie volte. Così sono iniziati i corsi di cucina e tutta una serie di iniziative, come le feste di Halloween. Fatta la prima festa, tutta la gente del quartiere era contenta e soddisfatta. Allora là ti cercano e ti spingono ad organizzarne altre, questo ti dà la forza di andare avanti. Queste cose ti riempiono di gioia il cuore, non come i soldi.

Tina, come si fa integrazione in cucina? 

Ma guarda, io a stento parlo l’italiano, non parlo altre lingue, quale modo migliore se non con le mani in pasta. Perché così impasta la persona di colore, il nostro cliente del Vomero e pure il migrante appena sbarcato. La cucina diventa un linguaggio universale. In questi corsi di cucina cerco di dare un po’ di spazio a tutti, una settimana vengono i più piccoli e una settimana gli adulti, poi ospitiamo scolaresche, gruppi di ragazzi a rischio e anche i giovani che frequentano il centro Nanà. Ci capita anche che le giovani guide ci chiedano di portare gruppi di turisti, io non dico mai no, a me fa piacere perché sono giovani e così riescono a guadagnare qualcosa, ma io non voglio niente.

C’è un episodio particolare che ti è rimasto impresso? 

L’episodio che mi è rimasto più impresso nasce proprio da una guida che mi chiese di portare delle ragazze americane. In quel periodo venivano anche dei ragazzi africani, in cuor mio pensai: ho già quattro ragazzi da là, altre quattro sono loro, otto ragazzi in totale mi va bene. Per me era facile, perché pensai: son tutti giovani qual è il problema? Allora arrivarono le ragazze americane, bellissime, pelle chiarissima, e i ragazzi africani, scuri scuri con occhi grandi e limpidi. Comunque figuratevi che io non parlavo né la lingua di uno, né dell’altro, ma mi accorsi che una delle ragazze, quando vide gli altri già con il grembiule pronti ad impastare, fece una faccia strana. A dire la verità mi diede un po’ fastidio, però sono testarda e allora misi la ragazza americana insieme al ragazzo africano. Così loro dovevano sfiorarsi e toccarsi per forza. Forse in quel momento feci violenza su quella ragazza, perché la costrinsi a fare una cosa che non voleva fare, però con molta delicatezza. Nel frattempo, presa dalle cose da fare mi dimenticai di quella situazione e a metà corso mi girai e mi accorsi che stavano collaborando, uno friggeva e l’altra teneva la pentola. A fine corso andai da lei e l’abbracciai, sono istintiva e volevo chiederle scusa, ma lei mi strinse ancora più forte con gli occhi lucidi come per dirmi: ho capito che hai capito, ma io ti ringrazio. Io faccio i corsi da tanti anni, però in quel momento, senza fare niente di particolare, era successo qualcosa.

Cosa avresti voluto dirle?

Che molte volte abbiamo paura di quello che non conosciamo, ma dobbiamo avere modo di conoscere, anche dietro forzatura. Avrei voluto dire questo a quella ragazza. Ma lo sapete che dopo si sono scambiati i numeri di telefono? E poi tutti e due parlavano inglese e io no, avevano anche la lingua che li univa. E’ stato un episodio che ricorderò per tutta la vita e anche solo per questo vale la pena continuare sempre. 

Perché secondo te c’è tutta questa diffidenza?

Tutto il mondo è così. Questo vivere frenetico non ci permette di fermarci a parlare con gli altri. Per esempio noi facciamo un lavoro duro però troviamo il tempo di fermarci e chiacchierare. Capita che una cliente ha una faccia strana, allora mi fermo e le chiedo come sta. Potrei fregarmene, ma è più forte di me, non ce la faccio. La vita è così bella che forse dormire è sprecato. Il mondo ti dà una forza che bisogna solo credere in quello che si fa, specialmente i giovani, che potrebbero scalare le montagne a piedi nudi, ma non se ne rendono conto, perché il mondo continua a correre e le persone si scontrano e si fanno male. Ho smesso anche di guardare la televisione per le continue notizie che danno di guerre e di altre cose brutte. 

E allora qual è la ricetta per l’integrazione?

Allora io ho pensato: l’invito tutti quanti per un bel piatto di pasta qua, ‘nu bellu ragù, voglio vedere se Salvini o chi per lui non abbassa le difese e si mette a mangiare. Così sta un poco più tranquillo perché siamo tutti uguali e siamo noi a creare differenze e muri. 

La sera a mio marito dico: Angelo noi abbiamo fatto notizia. Ma alla fine io che faccio, mi metto qui su un bancariello e fa notizia. Il fatto che fa notizia un poco mi dispiace perché noi che siamo solo dei fruttivendoli riusciamo a parlare e confrontarci con chi non conosciamo, perché gli altri non ci riescono? La soddisfazione a noi viene dai sorrisi che riusciamo a portare.