Tam Tam Basket, tra integrazione e sport. Intervista Coach Antonelli
Il nostro è un progetto sportivo ma anche di assistenza sociale. Siamo riusciti a dare a questi ragazzi l’infanzia che non avrebbero potuto avere a causa dell’indigenza nella quale vivono.
Tam Tam Basket è una squadra di Basket fondata, presieduta e allenata dall’ex cestista di Napoli e della nazionale italiana Massimo Antonelli. Raggiungiamo il coach Antonelli in un pomeriggio di allenamenti. Il Palazzetto dello sport di Castelvolturno è affollato da una trentina tra ragazze e ragazzi giovanissimi, età media 14 anni. Il suono delle palle da basket che rimbalzano sul parquet riempie la struttura, Antonelli è impegnato a seguire un gruppo di ragazze che si stanno avvicinando alla pallacanestro, lo fa con entusiasmo e pazienza. Mentre aspettiamo la pausa tra i due turni di allenamento, ascoltiamo le grida di scherzo e incitamento che si rivolgono i giovani atleti, tutti di origine africana, in un italiano dalla lieve cadenza napoletana. Quasi tutti nati in Italia, qualcuno arrivato in fasce, hanno conosciuto solo il nostro paese e frequentano le scuole del luogo. Sono italiani di fatto ma non di diritto: è di questi giorni la notizia dell’esclusione da parte della Fip (Federazione italiana pallacanestro) della squadra Under 15 dal campionato d’eccellenza, dopo la promozione guadagnata sul campo. Le regole federali impongono un limite di tesserati stranieri in ogni squadra. Tutto ciò a soli due anni dall’ultima battaglia della Tam Tam Basket, cui all’epoca era stata negata la partecipazione al campionato regionale: nel dicembre 2017 si giunse all’inserimento della norma “Salva Tam Tam” nella legge di stabilità, che oggi consente a tutti i figli di stranieri, capaci di dimostrare la frequenza scolastica nella scuola italiana, di praticare qualsiasi tipo di sport senza limitazione. Le stime dell’epoca parlavano di circa 800.000 minori interessati dalla norma in tutta Italia.
Il Coni e la Federazione hanno pensato di inserire un limite di giocatori stranieri nei campionati di eccellenza per evitare la mercificazione sui ragazzi in giro per il mondo da parte delle società più ricche, ma noi lavoriamo con ragazzi nati e cresciuti qui!
Quanti sono i ragazzi che oggi gravitano intorno alla squadra?
Poco più di 40. Da poco si sono da poco avvicinate le ragazze che sto curando proprio io, partendo dalle basi. Molti altri sono in attesa! Speriamo di poter ottenere o realizzare presto una nuova struttura per accoglierli tutti e allargare la nostra base.
Com’è il rapporto con le istituzioni locali?
Il comune è molto sensibile alla nostra causa… ma non ha soldi e senza fondi è difficile aiutarci. Aspettiamo una nuova struttura che dovrebbe concludersi “a breve” da anni ma stiamo anche pensando di avviare una campagna crowdfunding per poter realizzare una nostra tendostruttura.
Il vostro progetto è di grande utilità sociale. Coinvolge giovanissimi dandogli una occupazione pratica e positiva, tenendoli impegnati nei pomeriggi e evitando che prendano una strada sbagliata in un territorio complesso.
I ragazzi sono impegnati e lo sono molto seriamente. Ci credono. Sono qui che sudano e lottano per ottenere un obiettivo comune, rispettare le regole con impegno e serietà. Prima, senza mai aver fatto sport, non avevano una disciplina anche personale.
Un lavoro lungo che ha portato anche a una crescita dei vostri atleti.
Il nostro lavoro è il frutto di una semina lunghissima, di grandi sacrifici soprattutto da parte dei ragazzi. La stragrande maggioranza di loro ancora viene a piedi agli allenamenti, anche se molto giovani, noi li accompagnano al ritorno ma è molto raro che qualche genitore possa accompagnarli. Il territorio di Castelvolturno spesso è carente di servizi, come i trasporti, che devono essere sostituiti da privati con un aggravio spesso non sostenibile da famiglie con difficoltà economiche. Questo ti fa capire quanto questi ragazzi se la devono vedere da soli e l’enorme impegno che mettono negli allenamenti e per la squadra.
La vostra è anche una grande palestra di formazione.
Certo, abbiano notato che quando un ragazzo comincia a “rallentare” nelle prestazioni sportive poi va male anche a scuola. Abbiamo un ragazzo che forse non è un grandissimo atleta ma si impegna tantissimo e anche a scuola ha raggiunti risultati straordinari e la preside non ha mancato di comunicarcelo.
Quindi c’è collaborazione anche con la scuola.
Con la scuola, certo, ma anche con la Caritas del Centro Fernandes e con Emergency. Proprio loro, che seguono molte delle famiglie dei ragazzi, ci hanno riferito di aver registrato anche numerosi miglioramenti nella salute dei ragazzi coinvolti.
È stato difficile, tre anni fa, avviare il progetto e soprattutto coinvolgere i ragazzi?
La cosa complessa è stato trovare uno spazio. Poi abbiamo fatto un giro delle scuole e abbiamo scoperto che quasi tutti gli studenti che abbiamo poi coinvolto non facevano sport. La loro è una comunità poverissima e non potevano permettersi di pagare alcuna retta per attività sportive. Le famiglie spendono già tanto per mandarli a scuola, pagare i pulmini perché non possono accompagnarli. Situazioni comunque molto difficili e all’inizio dopo il passaparola che si è creato c’è stato un boom di iscrizioni. Non abbiamo perso iscritti neanche quando abbiamo cambiato la prima sede. I ragazzi continuavano ad arrivare.
Evidentemente c’era una esigenza molto sentita.
Siamo andati ad operare dove c’era più bisogno. Tutti sognano di andar altrove. Tutti studiano e sperano poi di trasferirsi all’estero, studiare o lavorare fuori, o magari diventare giocatori di pallacanestro. Io spero davvero che questo meraviglioso territorio, 27 km di spiaggia penso che non li abbia nessuno!, possa riprendersi. Noi pensiamo di poter dare un piccolo contributo. Il nostro è un progetto di certo sportivo ma anche sociale e di ricerca.
E i rapporti con gli avversari? Com’è l’accoglienza quando giocate in trasferta?
È sempre un po’ una festa. Talvolta incontriamo anche dei sindaci di amministrazioni sensibili e vicine al nostro progetto. Anche dai ragazzi di Castelvolturno abbiamo avuto dei riscontri eccezionali. Un aneddoto: due anni fa, nel corso della nostra battaglia per il diritto dei nostri ragazzi a giocare, dopo un intervista di Rai3 fatta nella scuola di uno dei nostri atleti, i suoi compagni hanno finalmente realizzato l’assurdità burocratica nel quale si trovava. Lo stupore che ha generato ha causato una sorta di “ribellione”: per i ragazzi non esiste lo straniero. Per i piccoli non esiste la differenza tra italiano e straniero. Sono più puri, migliori di noi.
Coach Antonelli, ma a lei e i suoi colleghi, come è venuto in mente di mettere su un progetto così ambizioso e complicato? Insomma, chi ve lo ha fatto fare?
Ci pensavo proprio oggi anch’io! Io ho 66 anni, a quest’età si pensa di solito alla pensione, ad andare a pescare, a leggere in più (ride)…e invece mi ritrovo a passare i pomeriggi in palestra, pensare come trovare i soldi per mandare avanti la società. Siamo presi da questa grande passione, ma non lavoriamo mai con la serenità di poter andare avanti senza problemi. E poi arrivano anche le notizie che ci dicono “no, non avete diritto perché…”. Ma non ho mai avuto ripensamenti, per me è molto bello aver preso questi ragazzi. Nonostante le difficoltà non bisogna mollare, non bisogna lasciare questi ragazzi.
Questa è una sorta di metafora di tutto il lavoro sulla solidarietà e l’accoglienza, non trova?
Questo è un lavoro che noi facciamo su dei ragazzi che sono un po’ abbandonati a se stessi. Noi gli abbiamo creato una passione, gli abbiamo acceso un fuoco, gli abbiamo dato un senso. Il nostro è un progetto di integrazione e di pari opportunità. A questi ragazzi era impedito di giocare, proprio per difficoltà materiali. Abbiamo coperto un buco di assistenza sociale: lo sport è infatti anche assistenza sociale. Li abbiamo tolti dal nulla dei loro pomeriggi, dove non hanno sfoghi e esempi positivi e sono diventati essi stessi esempi esempio per i loro amici.
Al di là di come finirà la vicenda con la Federazione, si può dire che almeno si è aperta una discussione sui giovani italiani senza cittadinanza e lo sport.
Esatto! Noi fino a poco tempo fa eravamo dei fantasmi per la Federazione: abbiamo fatto una lotta e abbiamo vinto, abbiamo ottenuto una norma specifica. Ora stiamo creando l’idea di uno Ius Soli sportivo. Noi che siamo un popolo di migranti dovremmo riconoscere che l’Italia cambia e che questi ragazzi sono una ricchezza per il paese.
È possibile seguire TAM TAM BASKET su Facebook e sul sito internet. Per sostenere le attività della squadra è possibile donare il 5 per mille, sostenere le campagne di crowdfunding o donare seguendo le indicazioni sui loro canali.