Storia di Awa, italiana “al 102%”
Stranieriincampania vuole raccontare l’Italia multietnica.
Oggi incontriamo Awa, casertana, 20 anni. Awa Fall (“si legge f-a-l-l e non f-o-l-l!” come tiene a precisare) è figlia di Serena, napoletana, e Ndongo, senegalese. Quella che ci racconta passeggiando nei pressi della Reggia in una tarda mattinata di inizio settembre, appena rientrata dall’università, è una storia personale e familiare di impegno, di incontro, di piccoli-grandi gesti di affermazione.
“I miei genitori si sono conosciuti negli anni ’90 in pizzeria, come tante coppie. Mio padre è arrivato dal Senegal dopo la laurea in economia e commercio. Il loro è stato un amore che è nato e cresciuto anche grazie alla comune militanza in Nero e Non Solo! a Caserta”. Awa ci parla delle piccole sfide, dei piccoli gesti di “razzismo quotidiano” che i genitori hanno dovuto subire all’inizio della loro storia: “I vicini di casa pensavano che mia nonna avesse subaffittato una stanza a un africano, non riuscivano a concepire che potesse frequentare normalmente la loro casa, che fosse il fidanzato della figlia” e così ancora al momento del matrimonio, quando un impiegato del comune di Caserta oppose obiezioni di ogni sorta prima di rilasciare i documenti necessari.
Nel 1999 nasce Awa, quattro anni dopo la sorella Aicha. Le due ragazze crescono, studiano, vivono l’Italia. “Io sono italiana: vivo in Italia, mangio italiano, parlo italiano. Sono italiana , mussulmana e nera, ma pur sempre italiana al 102%. Eppure qualcuno ancora si stupisce, dubita. Alla Posta un impiegato legge con stupore la mia nazionalità sui documenti, qualcun altro è impressionato dalla mia padronanza della lingua, come fossi appena arrivata in Italia. Molti non riescono veramente a concepire che possano esistere italiani dalla pelle nera!”.
“Mi è capitato di essere l’unica a cui veniva chiesto il biglietto in bus, solo perché nera, ovviamente. L’ho fatto notare al controllore e lui ovviamente non aveva parole per controbattere”. Awa è una ragazza combattiva, sicura di sé, che sa difendersi anche con ironia e un buonumore caratterizzato talvolta da fragorose risate.
Discutiamo a lungo se questi atteggiamenti siano legati alla realtà probabilmente un po’ provinciale dove è cresciuta, se siano aumentati nell’ultimo tempo, se è “semplicemente” frutto di ignoranza e incapacità di rapportarsi alla diversità – anche quando è solo una questione di colore della pelle, o di fede. Awa si dice convinta di quest’ultima possibilità: l’ignoranza di molti, intesa in senso neutro,
legata alla chiusura e la paura dell’incontro. È convinta che con i razzisti bisogna parlare, provarli a fare ragionare “Quando parli con uno di loro, li prendi uno a uno, i loro discorsi d’odio si spengono. Non hanno più argomenti.
Per me è veramente incomprensibile giudicare qualcuno dal colore della pelle. Anche quando ero piccola mi rendevo conto di essere nera solo per le reazioni altrui. La mia differenza è tale solo per le reazioni degli altri”.
Il suo background familiare, le sue esperienze, sono sicuramente state anche la ragione che l’ha spinta a impegnarsi nell’attivismo civico. E infatti nelle sue impegnatissime giornate, all’università e alle uscite con gli amici affianca la militanza in molte associazioni politiche, per i diritti umani e degli studenti, nella convinzione che il protagonismo degli afro-italiani e in generale le seconde generazioni sia necessario.
“Siamo italiani. Dobbiamo farci vedere, esserci, partecipare.”.