Quando la casa è più di un’abitazione. Esperienze di Housing sociale a confronto

Lo scorso 11 novembre si è tenuto un nuovo appuntamento del ciclo di webinar organizzati da Cidis Onlus nell’ambito di YALLA! Social Community Services, il progetto finanziato dal Fondo Europeo Asilo, Migrazione e Integrazione, capofila il Comune di Napoli, che ha l’obiettivo di contribuire a migliorare il livello di efficienza del sistema dei Servizi Socio-assistenziali della città nella risposta dei bisogni dei cittadini stranieri, con particolare attenzione al disagio abitativo e all’inclusione.

Nello specifico, Presentazione di buone pratiche di Housing sociale, il titolo dell’ultimo incontro, aveva lo scopo di confrontare e condividere prassi riguardanti l’accesso  facilitato all’alloggio. Hanno animato la tavola rotonda virtuale Carla Barbarella, presidente di Aliseicoop, Alessandra De Luca, coordinatrice regionale di Cidis Onlus, e Valentina Luberto del Centro di Solidarietà Il Delfino. Ha introdotto e coordinato la presidente di Cidis Maria Teresa Terreri.

Comune alle varie esperienze presentate c’è la necessità di valorizzare anche con soluzioni creative ogni profilo (personale – dei beneficiari – e associativo – delle organizzazioni protagoniste), l’urgenza di offrire soluzioni costruite sui bisogni particolari dei beneficiari, la scelta di dar luogo a sinergie con altri attori sia del terzo settore sia istituzionali, un forte investimento su empowerment e formazione.

Il Centro Il Delfino ha presentato il suo progetto A.R.C.A., realizzato in provincia di Cosenza e rivolto esclusivamente a nuclei familiari (italiani e non) in situazioni di particolare disagio economico impossibilitate ad accedere all’edilizia popolare; Cidis Onlus ha portato l’esempio della sua Casa Cidis, un innovativo progetto di “alloggio leggero” rivolto a migranti neomaggiorenni finalizzato – anche – alla formazione lavorativa e all’autonomia sul lungo termine; in vari luoghi di Italia (tra cui Piedimonte Matese e Villaricca in Campania) sono state realizzate le esperienze di “autocostruzione” di Aliseicoop. In questo caso il target di riferimento erano italiani e stranieri con reddito medio-basso esclusi dal mercato immobiliare per impossibilità di ottenere un mutuo.

L’esperienza più recente è quella presentata da Valentina Ruberto del Centro di Solidarietà Il Delfino, in collegamento da Castiglione Cosentino, dove con il contributo di Fondazione con il Sud, si è dato vita al “Progetto A.R.C.A.” (Azioni di Recupero Comunitario del disagio Abitativo) che nel nome “evoca la metafora biblica  del trasportare le persone oltre la bufera”, come definito dalla stessa relatrice. Il progetto, come accennavamo, è destinato infatti a nuclei familiari, italiani e stranieri, che versano in condizioni di particolare fragilità e vulnerabilità socioeconomica per “trasportarli” in acque più serene.

A.R.C.A. nasce in partnership con attori molto diversi: Comune di Castiglione Cosentino, Associazione Chiron,  Credito Cooperativo Mediocrati, Volontà Solidale – CSV. Ogni organizzazione è stata coinvolta per una sua specifica expertise.

Se l’obiettivo generale è quello di potenziare l’Housing sociale in una regione, quella calabrese, dove le esperienze in merito sono praticamente assenti (e spesso confuse con l’alloggio popolare), quelli più specifici sono il rispondere a bisogni abitativi diffusi, fornendo alloggi adeguati ai nuclei famigliari, e di conseguenza l’ acquisizione di autonomia socio-economica per i beneficiari. 

Il tutto è partito dalla riqualificazione di una vasta area abbandonata per la creazione di una “cittadella del sociale”: lì si sono creati minialloggi per le famiglie ospitate e aree rivolte alla socializzazione dei beneficiari e destinate ad incentivare un positivo scambio con la comunità (fattoria, orto sociale, area polifunzionale che funge da cinema, palestra, etc).   

Fin qui la descrizione del progetto. Ma come vengono scelte e avviate le famiglie presenti nel progetto di ospitalità?

Il primo passaggio è la presa in carico sociale: accolte da un assistente sociale e da un educatore professionale, con loro viene successivamente redatto un piano sociale individuale, con una strategia e un piano d’azione per accompagnarli in un percorso di autonomia sul medio-lungo periodo. A tutte loro, infine, viene affiancato un consulente per la formazione e l’orientamento.

A 16 dei beneficiari sarà offerta la possibilità di accedere a tirocini formativi retribuiti al termine del percorso di ospitalità che, si ipotizza, verrà concluso nel giro di 12-18 mesi, nel momento in cui verrà superata la fase di maggiore fragilità economica. Successivamente le famiglie potranno accedere ad alloggi ad affitto calmierato.

Il progetto è ancora nelle fasi iniziali ma sono già tre i nuclei ospitati, due provenienti dall’Africa e uno italiano, individuati dal Centro Il Delfino sul territorio territorio.

La rete associativa che dà vita del progetto, caratterizzata dalla specificità di ogni attore coinvolto (l’ente di formazione dedicato all’orientamento, il comune alla reperibilità dei locali e come collante istituzionale, etc), il ruolo centrale dell’ente attuatore come collante e propulsore delle attività, e lo stretto rapporto con la comunità (la previsione di locali aperti alla popolazione locale, per scambi e attività comuni) è una caratteristica che si ritrova anche nel progetto “Casa Cidis”, realizzato nel cuore di Napoli dall’omonima associazione.

È stata dunque Alessandra de Luca a rappresentare durante il webinar il progetto di “alloggio leggero” realizzato con il contributo di Mai più Soli! Fondazione Never Alone Italia.  Casa Cidis si struttura come una casa vacanze vera e propria, dove neomaggiorenni ex MSNA (migranti arrivati soli in Italia ancora minorenni) possono trovare ospitalità per un periodo di sei mesi e intraprendere un percorso di formazione on the job. 

È utile ricordare che i MSNA, una volta raggiunti i 18 anni, sono obbligati a lasciare le strutture di accoglienza loro dedicate per spostarsi, qualora ci siano le condizioni, in Cas/Siproimi per adulti, spesso lontani geograficamente o non rispondenti ai loro bisogni e alle relazioni createsi nel corso del periodo precedente. Nei casi peggiori, sono espulsi dal percorso di accoglienza “col pericolo di entrare in percorsi di sfruttamento”, come sottolineato da De Luca. Se da un lato Cidis percorre anche la possibilità dell’accoglienza in famiglia, quella dell’alloggio leggero è una possibilità innovativa che prevede il co-housing in una struttura ricettivo-turistica vera e propria, situata al centro di Napoli, nel quartiere Vasto, e prenotabile tramite le piattaforme online dedicate. Casa Cidis diventa una forma di accoglienza per giovani migranti (selezionati tramite le comunità alloggio per minori), ma anche di inserimento lavorativo: i beneficiari infatti sono contrattualizzati a tempo determinato per supportare la struttura secondo le loro potenzialità e attitudini. Si fa quindi assistenza ma anche formazione con il Learning by doing, “imparare facendo”, per consentirgli di ottimizzare abilità molto spendibili in un territorio come quello campano dove il turismo rappresenta un mercato molto florido.

Tratto caratteristico di Casa Cidis è l’apertura alla comunità, al quartiere. Oltre a servire come casa vacanze essa è anche un vero e proprio centro polifunzionale. Lì si attivano corsi di formazione, laboratori didattici, si organizzano presentazioni ed eventi. Si crea dunque un filo rosso che unisce il dentro al fuori. Si fa integrazione facendo incontrare chi in Casa Cidis ha trovato ospitalità e un luogo di lavoro con il quartiere circostante, stimolando energie e curiosità in un luogo dove altrimenti la diversità culturale sarebbe in qualche modo “subita” e non invece vissuta positivamente.

Dal punto di vista delle difficoltà riscontrate, la maggiore è quello della gestione logistica-finanziaria di un progetto così sfaccettato e complesso. Anche in questo caso è però la sinergia tra attori e progetti complementari tra loro ad offrire una soluzione, consentendo di trovare soluzioni creative e anzi stimolanti per la prosecuzione dell’intera esperienza.

Nonostante la partenza molto positiva, il fiorire di eventi e prenotazioni, data la particolarissima situazione attuale (con un sostanziale stop al turismo e l’impossibilità di eseguire formazioni e eventi in presenza) il percorso di Casa Cidis è in un momento di pausa, ma tutti i ragazzi ospitati in precedenza hanno potuto concludere il proprio percorso positivamente. 

Arriviamo infine all’esperienza di “Autocostruzione” presentata da Carla Barbarella di Aliseicoop, una cooperativa sociale che opera a livello nazionale per garantire diritti e pari opportunità alla popolazione immigrata ma anche alle fasce deboli di quella italiana, soprattutto nel campo dell’Housing sociale. 

“Senza casa non si esiste socialmente”, questo il cuore dell’intervento di Barbarella che ha spiegato come i vari progetti di autocostruzione sono destinati al supporto della costruzione di abitazioni di proprietà destinate a beneficiari che non possono affacciarsi sul mercato immobiliare tradizionale. Aliseicoop propone quindi ai partecipanti, nuclei familiari italiani e stranieri a basso reddito (e tuttavia in grado di rimborsare un mutuo bancario, ancorché a condizioni favorevoli), di costituirsi in cooperativa che – con il supporto di professionisti e tecnici qualificati – si occuperanno in circa due anni, in tutti i weekend disponibili, di edificare letteralmente da sé la propria abitazione.

Tutti i partecipanti quindi lavorano a un progetto comune, collaborando alla costruzione di più abitazioni (molto curate dal punto di vista estetico e funzionale) senza sapere quale sarà l’unità abitativa che sarà loro assegnata. Stimolando quindi cooperazione, spirito di collaborazione e pratiche di convivenza e integrazione.

“Il terzo settore può cosi mostrare come può costruire e edificare” – sottolinea la presidente – in contrapposizione al settore privato legittimamente interessato a massimizzare il  proprio profitto.

C’è da citare quindi alcuni punti di complessità dell’operazione. Innanzitutto trovare delle aree idonee a questa tipologia di progetti edilizi, non ancora regolati da una legge nazionale e per cui non esistono ancora progetti legislativi completi su base regionale. Spesso non ci sono aree di edilizia popolare disponibili, vuoi per mancanza di collaborazione popolare, vuoi per esaurimento degli spazi.

C’è poi il punto dei beneficiari del progetto, la selezione degli autocostruttori: questi devono essere soggetti molto motivati in grado di portare avanti l’attività per almeno due anni, occupando ogni weekend per molte ore. Devono essere persone in grado di sopportare il carico di lavoro, rispondere ai ritmi di lavoro e essere idonee a seguire le indicazione dei tecnici individuati. Ultimo, ma non per importanza, le famiglie impegnate nel progetto devono essere in grado di restituire il mutuo erogato per il progetto sul medio periodo. Aliseicoop ha quindi individuato un target di  famiglie con un reddito medio basso (1.200/1.400 euro mensili).

C’è inoltre la componente umana di cui si accennava poco fa: il lavoro di autocostruzione è un continuo esercizio di mediazione, tra i tecnici e gli autocostruttori ma anche e soprattutto tra i partecipanti stessi. Tutte le decisioni sulle caratteristiche dell’abitazione (dai pavimenti, agli accessori) vengono prese insieme e solo alla fine si arriva a un vero e proprio sorteggio con l’assegnazione dell’abitazione in cui si vivrà.

Vi è infine un problema burocratico e istituzionale: quella dell’autocostruzione è una pratica non ancora pienamente normata, quindi spesso le istituzioni politiche locali , i notai e i commercialisti hanno difficoltà nel gestire questa tipologia di progetti comunque ormai in espansione.

Nelle due aree campane di realizzazione – Villaricca (NA) e Piedimonte Matese (CE) – le famiglie impegnate erano quasi totalità italiane, per difficoltà di trovare partecipanti stranieri che rispondessero ai criteri individuati dalla cooperativa. In altre esperienze simili, però, non mancano numerosi partecipanti di origine migrante. È il caso dei progetti in Umbria, che vedono un alto tasso di partecipanti stranieri provenienti principalmente dall’area del Maghreb. Lì si è creata una comunità pienamente in sintonia anche a distanza di tempo dal termine della costruzione.

“È importante spingere affinché il terzo settore spinga affinché gli enti senza fini di lucro diventino anch’essi costruttori” ha ripetuto infine Carla Barbarella “Sfruttando anche le opportunità fornite dagli enti locali, come nel caso della Campania” dove la Regione offre un fondo immobiliare che è una grande opportunità per progetti no profit del genere.

Nel corso del pomeriggio sono state presentate esperienze diverse, per territorio di realizzazione, beneficiari e modalità. Quello che spicca, però, è il valore intrinseco dell’abitazione al di là dello spazio fisico abitabile – “quattro mura e un tetto sulla testa”. La casa diventa un luogo dove si concretizzano la propria autonomia, le relazioni famigliari e affettive, un trampolino di lancio per un futuro diverso e più stabile, da cui far (ri)partire la propria vita.

12 novembre 2020