Politiche migratorie, un documento dei paesi mediterranei chiede condivisione di responsabilità
È stato pubblicato ieri dal Ministero dell’Interno, guidato da Luciana Lamorgese, il “documento per una strategia comune europea su immigrazione e asilo”. La pubblicazione segue di pochi giorni la riunione del Consiglio degli Affari interni, una delle formazioni con la quale si riunisce il Consiglio dell’Unione Europea, composto in questo caso dai ministri dell’interno dei 27 Stati membri dell’Unione europea.
«Per la prima volta cinque Paesi mediterranei dell’Unione europea hanno presentato alla Commissione una proposta politica in vista dell’imminente elaborazione di una nuova strategia comune e solidale sull’immigrazione e l’asilo – ha dichiarato la Ministra – È un passo importante, tra l’altro, per il riconoscimento della specificità delle frontiere marittime esterne dell’Unione e dell’obbligatorietà delle procedure di ricollocamento dei migranti tra i partner della Ue».
Oltre all’Italia, hanno firmato il documento programmatico anche Cipro, Grecia, Malta e Spagna, i paesi europei affacciati sul Mediterraneo più esposti ai flussi migratori provenienti dal Nord Africa.
Nell’incipit si richiama al “principio cardine delle politiche migratorie e d’asilo europee”, ovvero solidarietà e equa distribuzione delle responsabilità tra i paesi membri dell’Unione, così come stabilito dall’articolo 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea:
Le politiche dell’Unione […] la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario.
“La prevenzione delle partenze, la tutela della vita umana, l’attuazione della politica di asilo, la promozione dei diritti fondamentali – si legge – sono responsabilità dell’U.E. e dei suoi Stati membri nel loro insieme e non soltanto degli Stati membri frontalieri del Mediterraneo”. L’Italia e i cofirmatari fanno quindi appello a un superamento del criterio della responsabilità unica in capo allo Stato di primo approdo dei migranti, per riportare sul piano europeo la gestione degli oneri dell’accoglienza sul complesso dell’Unione, soprattutto in caso di flussi di massa o di emergenza.
Sono nove i “punti irrinunciabili” elencati per una riforma delle politiche migratorie a livello comunitario:
- Il riconoscimento della specificità della gestione delle frontiere marittime:
il principio base di questo punto è che le accoglienze in seguito alle operazioni SAR (search and rescue) non possano essere considerate pari agli ingressi irregolari, e quindi imputate ad inefficienze dei controlli frontalieri. In caso quindi di flussi “sproporzionati” nella pressione migratoria, gli Stati Membri dovrebbero offrire un “porto sicuro alternativo”.
- La ricollocazione obbligatoria tra tutti gli Stati membri dei migranti che sbarcano a seguito di operazioni SAR:
la ricollocazione dei migranti ad oggi è sempre stata su base volontaria. Molti paesi membri hanno rifiutato tale principio – soprattutto il gruppo dei paesi orientali – rendendolo fondamentalmente inesistente.
- L’adozione di un sistema comune europeo per i rimpatri:
si fa riferimento al Meccanismo europeo comune dei rimpatri (CERM) che “integri e rispetti” gli accordi bilaterali già esistenti.
- L’individuazione di Linee guida per l’attività di ricerca e soccorso in mare da parte delle imbarcazioni private:
il riferimento, in questo caso, è alle operazioni portate avanti in questi ultimi due anni dalle ONG (“un fenomeno sostanzialmente nuovo e senza precedenti”) che hanno integrato, e spesso sopperito, le operazioni di soccorso da parte degli stati mediterranei, evitando spesso che i migranti potessero tornare nelle mani della Guardia Costiera libica, additata da più osservatori come spesso collusa con i trafficanti di esseri umani.
- Il superamento del criterio della responsabilità del Paese di primo ingresso stabilito dal regolamento di Dublino:
il regolamento di Dublino, nato in un contesto migratorio e internazionale profondamente diverso, è stato in questi ultimi tempi additato come il principale responsabile della sproporzionata ripartizione degli oneri di gestione dei flussi migratori. Vari, e vani fino a oggi, i tentativi di riforma o superamento dello stesso in sede parlamentare europea o di consiglio UE.
- L’introduzione di un meccanismo obbligatorio ed automatico per la ridistribuzione “pro quota” delle richieste di asilo definite da un sistema centralizzato che tenga conto delle varie specificità dei paesi.
- L’adozione di un sistema di asilo basato sul rispetto dei diritti ma “volto a evitare l’abuso delle procedure”.
- La previsione a carico del Paese di primo ingresso soltanto delle procedure di pre-screening per i necessari accertamenti sanitari e di sicurezza:
nella riforma proposta da Italia, Cipro, Malta e Spagna in capo esclusivamente al paese di prima accoglienza rimarrebbero quindi i soli adempimenti di sicurezza sanitaria e di identificazione dei migranti.
- Il rafforzamento delle politiche di collaborazione con i Paesi Terzi, in particolare con quelli del Nord Africa e del Medio Oriente:
il documento sembra quindi suggerire un aumento degli accordi con gli stati di partenza – o di transito – dei flussi migratori.
Accordi come quello con la Libia – siglati in passato da diversi governi italiani (per ultimi quelli guidati da Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e Giuseppe Conte) e più di recente da Malta – sono stati molto criticati dagli esperti di diritti umani e di migrazioni, soprattutto per il coinvolgimento della Guardia Costiera del paese nordafricano, sul concetto di “porto sicuro” in un paese lacerato da una lunghissima guerra civile, e per la presenza di strutture che ormai anche le organizzazioni internazionali definiscono veri e propri lager dove i migranti che sperano di arrivare in Europa sono detenuti e privati dei diritti umani più basilari.
Sulla politica migratoria nazionale, infine, sono molti gli operatori che fanno notare che poco o nulla è cambiato in questi mesi: Giulia Linardi, portavoce di Sea Watch, ha dichiarato a Repubblica: “non abbiamo visto discontinuità col governo precedente”. Con l’inizio della pandemia, e il conseguente confinamento nazionale, i porti italiani sono stati definiti dallo stesso governo “non sicuri” per gli sbarchi delle imbarcazioni private impegnate nei salvataggi. Manca inoltre ancora una riforma dei decreti sicurezza: chiesta e annunciata da alcune forze della maggioranza (PD, Liberi e Uguali, Italia Viva), una riforma sostanziale delle politiche molto restrittive fortemente volute dall’ex vice-premier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini è osteggiata dal Movimento 5 Stelle.
Al netto di piccole modifiche, ad oggi i decreti restano ancora in piedi, incidendo non poco sulla vita di migliaia di migranti nel nostro paese.