Mishel: un ponte tra culture alla CVX di Napoli per l’integrazione dei minori stranieri
Questa settimana Stranieriincampania ha visitato la sede della CVX di Napoli per incontrare uno dei volontari del progetto Jonathan/Arcobaleno CVX che si occupa di attività di sostegno ed integrazione scolastica di minori provenienti da famiglie in difficoltà, con particolare riguardo agli immigrati e ai figli di immigrati. L’obiettivo condiviso è la piena integrazione dei minori, a scuola e nella società nel rispetto delle culture di appartenenza. Il progetto, dal 1996, è riconosciuto dal Comune di Napoli come servizio di attività sociale che, attualmente, coinvolge circa cinquanta minori seguiti a titolo completamente gratuito da oltre trentacinque volontari. Tra questi c’è Mishel, lo incontriamo proprio mentre è intento a seguire nei compiti un gruppo di studenti.
Ciao Mishel, ti puoi presentare ai lettori di Stranieriincampania?
Sono Mishel ho 21 anni, sono nato a Napoli da genitori srilankesi. Ho avuto la cittadinanza italiana a 18 anni e ho fatto adesso la richiesta per quella srilankese. Se ci pensi è un paradosso, per lo Stato italiano sono sempre stato srilankese. Mi sono diplomato all’istituto alberghiero e adesso la mattina lavoro e il pomeriggio vengo qui come volontario, anche perché faccio parte della Comunità srilankese del Gesù Nuovo.
Mi stavi dicendo che c’è una comunità srilankese all’interno della Chiesa del Gesù Nuovo?
Sì, la seguono i gesuiti da più di trent’anni, in realtà non siamo l’unica ce ne sono altre. Ogni quattro o cinque anni arriva un cappellano srilankese che dice la messa in lingua e organizza il catechismo.
Quanto spesso vai in Sri Lanka?
Ci vado in vacanza. Certe volte d’estate altre a Natale. Il periodo massimo che mi sono trattenuto lì è stato 2 mesi. Vivere lì per l’estate, anche 2 o 3 mesi va benissimo. Lo Sri Lanka sta vicino alla Thailandia, ha delle spiagge bellissime, però viverci è difficile. Io qui ho i miei amici, i miei affetti e poi noi qui abbiamo 4 stagioni, io non riuscirei a vivere a 40 gradi tutto l’anno. Poi cosa potrei fare là? Una cosa curiosa è che molte persone come me, potrebbero anche andare lì e vivere di rendita, però non lo facciamo, è qui la nostra vita.
Ci parli del progetto Jonathan/Arcobaleno CVX?
Sì è un progetto, che l’anno prossimo compirà 25 anni, della CVX – Comunità di vita cristiana, un’associazione di stampo ignaziano, a cui partecipano non solo i bambini srilankesi, ma anche di altri paesi ed etnie. Qui c’è un gruppo di volontari ed un coordinatore che si occupano di seguire i bambini nei compiti o dargli delle ripetizioni se hanno qualche lacuna. Offriamo un servizio di doposcuola e ultimamente abbiamo avviato anche un corso di lingua sempre per i più giovani. A me piace dire che non è solo un doposcuola, loro qui trovano un ambiente tranquillo: c’è una sala giochi, il cortile e altri spazi dedicati. Quando vengono qui hanno la possibilità di studiare, ma anche di giocare, parlare tra di loro, confrontarsi e tutto questo è molto importante per loro. Io sono qui come volontario da un paio d’anni, ma già da prima frequentavo il doposcuola, poi ho deciso di dare una mano.
Quali sono le principali difficoltà delle famiglie di questi ragazzi?
Il problema principale dei genitori è che non riescono a capire l’italiano. Quindi, per esempio, non capiscono l’assegno o un avviso mandato dalla scuola e se non ci siamo noi devono arrangiarsi, magari chiedendo ad un vicino o ai loro datori di lavoro. Sotto questo punto di vista affrontano delle difficoltà molto grandi. Il problema principale è la comunicazione. Mi è capitato che mi vengano a chiedere di accompagnarli ai colloqui scuola-famiglia perché non capiscono bene cosa gli viene detto. Poi mi dicono tutti “dici che sei il fratello” e le insegnanti hanno iniziato a guardarmi in modo strano perché ormai sono il fratello di tutti i bambini. Il fatto è che capita di dover spiegare alle famiglie anche come funziona la scala dei voti, perché da zero a dieci, loro immaginano che i figli debbano prendere nove o dieci sempre. Possono sembrare piccole cose, ma sono importanti.
Da cosa dipende secondo te questo problema relativo alla lingua?
Per spiegare il problema della lingua ti faccio l’esempio di mia madre, lei quando è arrivata qui si è trovata spaesata perché all’epoca non c’erano corsi di lingua. La prima generazione l’italiano lo ha imparato per strada o lavorando. Poi i ragazzi della seconda generazione, come me, hanno avuto la fortuna di frequentare le scuole italiane e adesso si può dire che sono il collante tra la comunità srilankese e quella italiana qui al Gesù, proprio perché conosco entrambe le lingue. Quindi penso che mentre le prime generazioni proprio per questo problema della lingua tendevano un po’ a isolarsi, adesso, grazie alle seconde generazioni, le due comunità si stanno unendo. Nascendo e studiando qui abbiamo meno timore di esporci, mentre i nostri genitori ce l’hanno ancora. Noi siamo nati qua, loro non hanno vissuto qui i primi amori, le prime amicizie e tutto il resto. Sono arrivati già grandi e hanno dovuto adattarsi.
Tu mi hai detto “per fortuna ho frequentato la scuola italiana”, secondo te avere delle scuole a parte può essere un limite?
Guarda per certi versi è un limite, voglio essere il più obiettivo possibile. Questi ragazzi vanno in queste scuole, studiano il programma srilankese e poi vanno a fare gli esami per prendere il diploma. Il problema è che non sanno la lingua, se li lasci per strada da soli non sanno che fare, non sanno con chi parlare, incontrano delle difficoltà pratiche. Alcuni vanno in Sri Lanka, fanno gli esami, ma molti non vogliono restare là, iniziano delle vere e proprie battaglie con le famiglie. Però poi tornano qui con un pugno di mosche perché con il diploma srilankese ci fai poco, per questo dico per fortuna. Molti di quelli che si iscrivono al nostro corso di italiano sono persone che vengono da queste scuole. E’ un fenomeno che comunque andrà scemando perché la gente inizia a capire che non conviene e diventa un problema perché mettono a rischio la possibilità di ottenere la cittadinanza.
Perché allora i genitori si ostinano a mandare i figli in queste scuole?
Il problema principale è che il salario di queste persone è molto più basso rispetto alla media e lavorano tutto il giorno, dalla mattina alla sera. Le scuole italiane non sono organizzate per tenere i bambini anche il pomeriggio, le scuole srilankesi offrono questo servizio. Proprio perché si adattano alle esigenze della popolazione. Quindi mandare i propri figli in queste scuole diventa un’esigenza.
Ci sono differenze religiose all’interno della comunità?
Guarda è indifferente, ci sono comunità buddhiste e comunità cattoliche, alcuni sono induisti. Da quando sto al Gesù è capitato che ai pellegrinaggi venissero anche buddisti e induisti tranquillamente. Per me è indifferente, non esiste una divisione sotto questo aspetto. Qua a Napoli è indifferente, in Sri Lanka è diverso perché poi dietro si nascondono differenze politiche e sociali. Lì il buddhismo è proprio una cultura, qui c’è un po’ di tutto e diviso bene.
Si può dire che il tuo ruolo è quello di un mediatore, ti piacerebbe farlo per lavoro?
Sì, magari. Mi piacerebbe molto. Nel mio lavoro sono a contatto con il pubblico ma qui mi piace di più. C’è una frase che mi ha colpito, dice: non esiste il conflitto tra culture, esiste il conflitto solo tra esseri umani.Mi piace aiutare le persone. Mi piace questo ruolo di ponte tra più culture, io sto imparando il tamil, vado apposta a cercare il monaco e a parlarci, ultimamente mi hanno invitato anche a una riunione degli indù. In me vedono un’accozzaglia di cose, veramente un ponte. Per esempio qui prendiamo ragazzi di diverse culture cingalesi e tamil. Questo forse è l’unico luogo in cui queste due etnie hanno una cosa in comune.
Quindi si sente ancora questa differenza anche nella città di Napoli?
Nelle prime generazioni esiste e si vede, nel senso che ci sono chiese tamil e chiese cingalesi, indù tamil e indù cingalesi. Ancora non si fidano pienamente gli uni degli altri, anche se devo dire che qui da noi convivono pacificamente, partecipano anche alle feste insieme e sono tranquillissimi. Nelle seconde generazioni questa differenza non c’è e credo che andrà scomparendo con il tempo.