“Mai più soli!”. L’esperienza di ospitalità di Lamin, Francesco e Gilda

Continuiamo il racconto di Mai più soli!, il progetto di Cidis Onlus dedicato all’inserimento in famiglia con la formula dell’affido per i migranti minori non accompagnati o con un percorso finalizzato all’autonomia per i neo-maggiorenni.

Lamin ha 19 anni ed è arrivato in Italia nel 2016 e vive con Gilda e Francesco, una giovane coppia di Napoli. La necessità di fare qualcosa per “contrastare la deriva razzista e sovranista” degli ultimi tempi, come ci dice Gilda, si è concretizzata nella scelta di aprire le porte della loro casa all’accoglienza di un giovane migrante. C’è però anche un motivo più personale. “L’idea di essere una famiglia improntata all’accoglienza c’è sempre stata”, aggiunge infatti Francesco “La nostra idea è quella di un nucleo che si apre, dove non bisogna bastare a sé stessi. Oggi questo si è concretizzato con l’ospitalità di Lamin  e proprio l’idea di aiutare un’altra persona che ha affrontato un’esperienza così complessa – lasciare il proprio paese in cerca di una vita migliore –  ha sicuramente contribuito alla decisione.”

“Contattata Cidis Onlus, e dopo i primi incontri conoscitivi, Lamin è arrivato una domenica di febbraio per il primo pranzo insieme. Da lì in poi non abbiamo più finito di mangiare” scherza Francesco dando un tocco culinario alla conversazione, durante la quale apprendiamo che il piatto italiano preferito del ragazzo è il “peperone mbuttunato”, il peperone ripieno, che vorrebbe sempre riproporre ai suoi amici in visita. Quella di Lamin non è certo però una sola integrazione culinaria. A Napoli è riuscito a costruirsi una vita da normale adolescente: le uscite con gli amici, i social network e  qualche lavoro per sostenere se stesso e la sorella minore rimasta in Gambia alla cui istruzione contribuisce pagandole le spese per la scuola che frequenta. “A Napoli mi trovo molto bene, qui sto imparando tante cose”.

Francesco ci parla di come con il suo atteggiamento svizzero-napoletano (“preciso e con la cazzimma”), Lamin abbia imparato a destreggiarsi nella ricerca del lavoro e nella società italiana e anche, con la loro assitenza, stia delineando quel percorso di autonomia che è proprio alla base del progetto Mai più soli!. 

Una responsabilizzazione, tra l’altro, che gli ha consentito anche di aiutare altri suoi amici migranti, ad esempio con la preparazione del curriculum o la ricerca di offerte di lavoro.

Lamin però ha anche una grande passione, quella del calcio, e un sogno nel cassetto: diventare calciatore.

Il suo è anzi più che un sogno, è un serio progetto di vita a cui sta dedicando tutte le sue energie, con attenzione e impegno quotidiano “Voglio diventare un grande calciatore”. 

Ispirato dal suo idolo calcistico, l’ex bandiera milanista Rino Gattuso, Lamin sta infatti seguendo una serrata preparazione atletica e con il pieno appoggio della sua nuova famiglia italiana sta girando l’Italia sottoponendosi a diversi provini per poter entrare nella rosa di una squadra italiana. 

È però consapevole delle difficoltà di accedere a questo mondo “Ora sono impegnato con il diventare calciatore ma se non dovesse andare bene ovviamente mi impegnerò con altri lavori. Mi piacerebbe per esempio continuare a lavorare nella ristorazione, come ho già fatto”. Sicuramente non avrà difficoltà ad inserirsi anche in altri luoghi di lavoro.  “Lamin si pone bene, ascolta molto. Sa farsi accettare e amare”, interviene Francesco, raccontando anche di come – nella sua famiglia allargata – sia chiamato “zio Lamin” dai suoi piccoli nipoti. 

Affrontiamo il tema delle reazioni alla scelta di ospitare. Gilda, “il capo di casa” come la chiama affettuosamente Lamin: “Grosse intolleranze non ne abbiamo vissute. Con la maggior parte delle persone con cui abbiamo parlato subentrava lo stupore: molti – anche persone giovani e informate – non sapevano neanche si potesse fare una cosa del genere. Dall’inizio siamo stati impegnati quindi a descrivere il progetto, sperando magari che questo possa aiutare a diffonderne la conoscenza e la consapevolezza. Ci piace pensare che però la nostra esperienza possa avere anche questa funzione positiva.”

Francesco sottolinea come non impostando il racconto dell’ospitalità sul pietismo, si ribaltano gli stereotipi e le credenze. Le etichette perdono valore e la gente non vedrà più un migrante in difficoltà ma innanzitutto un essere umano. 

Ci parlano allora del “disagio di catalogare” il loro inusuale nucleo familiare quando sono in spiaggia, o al ristorante, della difficoltà delle persone di assegnare ruoli (figlio adottivo, fidanzato – ma di chi?, amico, celebrità): “La cosa bella è essere d’esempio senza dire nulla. Saltando gli schemi, saltano i pregiudizi. Le persone compiono uno sforzo di comprensione rinunciando per forza di cose alle etichette”.

Chiediamo anche a loro quali consigli si sentono di dare a chi volesse iniziare una esperienza del genere: “Sicuramente ci vuole un po’ di istinto e leggerezza.  – dice Gilda – È una cosa che va fatta anche un po’ di pancia senza fermarsi a pensare alle difficoltà, agli spazi e ai tempi che si perdono, all’ ‘aver un estraneo in casa’.”.

“Certo, non troppo di pancia però”, aggiunge ridendo, ricordando come in ogni coabitazione ci sia bisogno di qualche regola non per “imporre” ma per renderla fluida. E ancora Francesco “Bisogna trovare nuovi equilibri e c’è la necessità di organizzare la propria vita, ma con leggerezza. Lamin sin dal primo giorno ha avuto le chiavi di casa. Qui si crea un equilibrio che è il segreto per questo tipo di convivenza: Lamin non dipende da noi, non ha dei badanti o dei tutor ossessivi che controllano i suoi tempi e vivono con lui in simbiosi. La nostra impostazione è che Lamin se vuole può avere una serie di benefici che non avrebbe nello stare da solo. Benefici che si acquisiscono nella normalità, nella quotidianità.” 

Quella dei nostri interlocutori è una convivenza dai tratti familiari, certo, ma anche paritari e amichevoli. Un rapporto equilibrato dove – come hanno sottolineato tutti più volte  c’è uno scambio, di insegnamenti e di culture, continuo. 

Salutandoci, Francesco e Gilda ci dicono infine che quando queste esperienza sarà terminata, con Lamin avviato nel suo percorso sportivo o comunque di autonomia lavorativa e di vita, vorrebbero mettere in rete le buone pratiche e gli insegnamenti maturati in questi mesi. Se la loro scelta è stata segnata da un briciolo di “sana incoscienza”, sono convinti che un ulteriore sostegno alle famiglie interessate – oltre quello istituzionale e quello dell’associazione – possa essere d’aiuto e stimolo per  quelle famiglie in procinto di ospitare ma ancora in dubbio. 

Proprio mentre questo articolo è in pubblicazione, Lamin è impegnato in un nuovo provino. Non possiamo che augurargli che il suo sogno diventi realtà.