La presenza filippina in Campania: storia e caratteristiche di un’immigrazione“silente”

 

In Campania,come in Italia,quella filippina rappresenta una delle collettività storiche che ha assunto, oramai, i caratteri di stanzialità.

Le Filippine, d’altro canto, sono considerate fra i principali paesi di emigrazione e le motivazioni delle partenze da questo paese si ricollegano, in passato come adesso, alle necessità economiche, ai bassissimi salari ed alla ricerca di alternative di vita plausibili. Persone di questa nazionalità, infatti, partono, spesso, nell’ambito di strategie familiari, per poter sostenere gli studi di figli o nipoti.

I residenti di origine filippina sul territorio nazionale, costituiscono il 3,3% degli stranieri mentre in Campania sono 3.873, rappresentando l’1,5 % degli stranieri (Istat, 01/01/2018). La loro presenza nella regione si concentra, in prevalenza, nelle città di Napoli e Salerno che ospitano rispettivamente il 62,3% ed il 21,3% del totale nella regione. A Caserta, invece,risiede il 13,2% degli immigrati filippini presenti in Campania,mentre ad Avellino e Benevento, il 2,1% e lo 0,9% (Istat, 01/01/2018).

La presenza filippina sul territorio campano, come nel resto d’Italia, è stata caratterizzata, fin da principio da una forte connotazione di genere, sebbene questa si sia attenuata nel corso del tempo. Secondo i dati più recenti le donne di questa nazionalità sono, in Campania, 2.474, rappresentando il 63,9% del totale (Istat, 01/01/2018). Le immigrate filippine, in ogni caso,sono considerate fra le “pioniere” in Italia ed hanno avuto un ruolo centrale,rappresentando il primo anello della catena migratoria.

I primi significativi arrivi in Campania, infatti, come nel resto del paese, risalgono alla metà degli anni Settanta ed erano rappresentati da giovani donne, in possesso di titoli di studio particolarmente elevati, impiegate nell’ambito della collaborazione domestica a tempo pieno che partivano, sovente, grazie all’intermediazione della chiesa o di altre connazionali. Coloro che emigravano irregolarmente, invece, si rivolgevano, spesso,ad agenzie che, dietro le false spoglie di “agenzie turistiche” procuravano l’ingresso illegale in Italia,magari attraverso visti turistici,con la promessa iniziale di lavori qualificati. In quegli anni, comunque, l’Italia rappresentava, il più delle volte, solo una meta di passaggio per coloro che intendevano raggiungere altre località, come gli Stati Uniti, dove vi erano maggiori possibilità di trovare un impiego qualificato.

Le prime immigrate giunte in Campania e soprattutto a Napoli, hanno costruito,nel tempo, una rete particolarmente efficiente che ha consentito loro di superare l’isolamento, di rivendicare diritti negati ed ha assunto, sempre più, i caratteri della “trans-nazionalità” richiamando anche gli uomini. L’associazionismo ha svolto, in tal senso, un ruolo particolarmente significativo. Nella metà degli anni Settanta, infatti, le poche filippine residenti a Napoli, in seguito al suicidio di una giovane connazionale, che viveva una situazione di forte segregazione occupazionale caratterizzata dall’assenza di riconoscimento dei diritti in ambito lavorativo, costituirono il Napoli Filipino Woman’s Club. Questa associazione era tesa ad offrire ausilio e sostegno alle giovani presenti sul territorio, che organizzavano anche eventi festivi, ricreativi o corsi di lingua italiana.  Nel 1978 il Napoli Filipino Woman’s Club si unisce al sindacato cattolico dell’ Api-colf e le donne che ne fanno parte iniziano a riunirsi in una sala di una chiesa della città, in Santa Maria la Nova. Con l’ausilio del sindacato, agli inizi degli anni Ottanta, alcune giovani filippine, fra le quali la prima presidente del Napoli Filipino Woman’s Club, Yolie Cabaroc, decidono di intentare delle cause di lavoro, rivendicando diritti in ambito occupazionale,come una retribuzione adeguata o i giorni liberi da lavoro.

Nel corso del tempo, in ogni caso, sono mutate le caratteristiche socio-demografiche di questo flusso migratorio, così come le modalità di inserimento sul territorio.

Negli anni Ottanta e soprattutto negli anni Novanta, infatti,in seguito all’incremento dei ricongiungimenti familiari, è aumentata la presenza maschile. Gli uomini, analogamente alle donne si sono inseriti in prevalenza nel settore dei servizi ed in ambito domestico, anche se con ruoli differenti, quali autisti, cuochi o giardinieri e più tardi, come “badanti”.

La presenza filippina nella regione, così, ha assunto i caratteri stanzialità, sono aumentati i nuclei familiari, le seconde generazioni e ad oggi si sta formando una terza generazione di immigrati.

Agli inizi del Duemila, immigrati di questa nazionalità sono ben inseriti da un punto di vista economico e lavorativo in Campania, come nel resto del territorio nazionale ed hanno un “ruolo privilegiato” nel settore della collaborazione domestica, in quanto impiegati, per lo più, per un ceto medio alto,come hanno messo in evidenza numerosi studi. Ciò si ricollega all’efficienza dei network per il reperimento del lavoro, ma anche ad una rappresentazione sociale positiva, uno stereotipo che li identifica “onesti, laboriosi, efficienti”.

Quella filippina, comunque, rappresenta in Campania, come in altri contesti italiani un’immigrazione poco “visibile” da un punto di vista sociale, per alcuni aspetti “silente”. Ciò in relazione alle modalità di inserimento lavorativo, ai bassi livelli di criminalità, al fatto che immigrati di questa nazionalità non ricreino quartieri “etnicamente connotati”, anche perché di rado sono impegnati in attività autonome. Essi, inoltre, si appoggiano, il più delle volte,ad organizzazioni religiose ed alle reti costituite dai propri connazionali e la vita sociale si svolge, in prevalenza nell’ambito delle sedi associative. Si tratta, infatti, di una collettività prevalentemente cattolica e il forte senso di religiosità, “makadyos” in lingua tagalog, rappresenta un aspetto pervasivo nei percorsi migratori delle persone di questa nazionalità.

Non mancano, tuttavia, le problematiche e le questioni rimaste aperte, che si ricollegano per lo più, a barriere e forme di discriminazione istituzionale o messe in atto nel quotidiano in ambito lavorativo, abitativo, in riferimento alla regolarità del soggiorno o ai diritti di cittadinanza. Fra queste il mancato riconoscimento dei titoli di studio conseguiti in patria. Le possibilità di mobilità occupazionale, infatti, consentono di passare, per lo più, dal lavoro domestico a tempo pieno, a quello ad ore. Norme, barriere legali, così, assieme alle politiche migratorie ed al ruolo svolto dalle reti comunitarie, seppure garantiscano la regolarità degli immigrati di origine filippina, li incatenano in prevalenza in un settore occupazionale, che rappresenta, pertanto, una scelta legata alla necessità,una sorta di “settore rifugio”.

E’ diffusa, poi, negli ultimi anni la percezione di un peggioramento delle condizioni lavorative collegata alla crisi economica e ad una maggiore concorrenzialità sul mercato del lavoro di altre nazionalità. Difficoltà che si ripercuotono soprattutto sulle condizioni lavorative degli uomini.

Nella città di Napoli in ogni caso vi è un ristorante di cucina tipica delle filippina, mentre altre attività autonome si ricollegano ad agenzie impegnate a facilitare scambi e rimesse con il paese di origine.

Negli anni, poi, oltre le possibilità di inserimento, sono cambiate anche come le forme associative divenute sempre più articolare e differenziate. Si sono, infatti, costituite numerose associazioni, che si distinguono fra loro sia per aspetti religiosi,in quanto sono aumentati i gruppi cattolici protestanti, che in relazione alle appartenenze regionali,riproponendo, così, nel contesto migratorio la forte eterogeneità linguistica e culturale dell’arcipelago filippino.

Fra le realtà associative, ad oggi, più significative presenti sul territorio campano vi sono la Comunità Filippina di Napoli e Campania, la Unified Democratic Filipino Community 1977 con sede a Napoli e la Filipino Communty of Salerno (FCSI). Queste svolgono numerose attività legate al sostegno, all’ausilio dei connazionali in diversi ambiti del quotidiano, o alla organizzazione di eventi festivi e celebrativi che rappresentano importanti occasioni per rivivere e “reinventare”, fra molteplici ibridazioni, le tradizioni culturali del paese di origine, facendo sì che, anche le seconde generazioni, possano familiarizzare con esse.

Stranieriincampania ha intervistato Romeo Marcos presidente della Unified Democratic Filipino Community 1977e Precy Dimayuyga, presidente della Comunità Filippina di Napoli e Campani ache hanno evidenziato l’importanza rivestita dall’associazionismo e dalle feste organizzate in ambito comunitario, nel corso delle quali sono,spesso, riproposte danze, canzoni tradizionali ed è possibile assaggiare pietanze tipiche delle Filippine. Condividere questi momenti di svago assieme ai propri connazionali, ad amici italiani o di altre nazionalità, infatti,ha ribadito Marcos, offre la possibilità di “sentirsi a casa” anche se si è lontani dal proprio paese di origine. Un paese al contempo vicino e lontano, che contribuisce a fare della Campania un caleidoscopio di culture.