La nostra vita all’estero: contro violenza e sfruttamento. Il gruppo WhatsApp di supporto per le donne dell’Est

La nostra vita all’estero: contro violenza e sfruttamento. Il gruppo WhatsApp di supporto per le donne dell’Est

 

Un progetto nato circa un anno fa e rivolto, principalmente, alle donne dell’Est, in particolare collaboratrici domestiche e lavoratrici che quotidianamente offrono cure e assistenza agli anziani e ai malati nelle case degli italiani.  “La nostra vita all’estero” è un’iniziativa nata dal basso per cercare di favorire l’integrazione e per aiutare le lavoratrici straniere a comprendere quali sono i propri diritti relativamente all’ambito lavorativo e sociale.

Nello specifico l’iniziativa consiste in un gruppo WhatsApp che si è diffuso rapidamente tramite il passaparola, allo scopo di raggiungere quelle lavoratrici impiegate, il più delle volte, in attività di assistenza e cura “notte e giorno”, che vivono una condizione di segregazione occupazionale o irregolarità e difficilmente si presentano agli sportelli informativi o seguono seminari e incontri organizzati dai sindacati e dalle organizzazioni del terzo settore.  Per capire meglio come funziona “La nostra vita all’Estero”, Stranieriincampania ha intervistato la sindacalista Svitlana Hryhorchuk, da anni impegnata sul territorio per tutelare i diritti degli stranieri, che prende parte alla rete come referente dello Sportello Immigrati USB Campania:  “Ci siamo basati sui principi di integrazione, diritto al lavoro, diritto alla casa, diritto alla salute, informative sulle leggi più utili agli stranieri. Forniamo informazioni circa le tabelle retributive stabilite per legge, il diritto ai giorni festivi e, attraverso questo sistema di contatto, siamo riusciti a raggiungere nei primi due mesi circa 1200 persone.

Era difficile raggiungere lo stesso numero di persone attraverso i seminari, poiché molte di queste donne lavorano notte e giorno. Invece, grazie a WhatsApp abbiamo raggiunto circa 3mila persone. E dopo la rete regionale abbiamo creato anche la rete nazionale”.

La rete è gestita da sette amministratori, tra cui avvocati e psicologi, che a seconda delle competenze specifiche offrono consulenze e assistenza a chi ne ha bisogno. Tutti gli amministratori sono volontari e volontarie di origine straniera, proprio perché il primo problema da risolvere è stato quello della lingua: “La rete coinvolge cittadine moldave, rumene, polacche, ucraine, russe, bielorusse, georgiane e bulgare – afferma la referente USB – La lingua comune che abbiamo individuato per tutte è il russo, e diciamo che con le persone provenienti dall’ex Unione Sovietica, che hanno intorno ai 45 anni, riusciamo in qualche modo a capirci anche se alcune non sanno scrivere. Per tutte le altre, abbiamo chi traduce in Italiano”.

L’obiettivo principale del progetto resta quello di favorire l’integrazione, infatti, la maggiore consapevolezza di quali sono i propri diritti aumenta l’autostima delle persone e ne migliora la qualità della vita ma, oltre a risolvere i problemi che affrontano ogni giorno i collaboratori domestici, il gruppo aiuta queste donne a sentirsi meno sole e abbandonate a loro stesse. Sono tanti, purtroppo, i casi di violenza domestica non denunciati: “Una signora ha rischiato di essere uccisa dall’anziano a cui prestava assistenza – ci racconta Svitlana – gli ha lanciato una sedia dall’altro capo del tavolo, lei è riuscita a chiudersi in una stanza e a chiamare i figli della persona anziana che però non sono intervenuti. Le hanno detto: ‘Sono problemi tuoi, sei tu la badante’. Lei ha mandato una segnalazione ad un’amica che fortunatamente era iscritta al gruppo e ha immediatamente avvisato gli altri, così siamo riusciti a farla uscire dalla stanza e ci siamo anche organizzati poi dopo per recuperare le sue cose e farla trasferire momentaneamente in un’altra casa. Dopo due settimane di riabilitazione è voluta tornare a lavorare, grazie anche alla rete”.

Le cause per cui queste donne decidono di non denunciare sono tante: la mancanza di punti di riferimento, la paura di perdere il lavoro, il non avere una casa dove andare, ma il motivo più frequente resta l’assenza di un permesso di soggiorno. Proprio la mancanza di un documento valido le pone in una situazione di sottomissione rispetto al proprio datore di lavoro, ma una soluzione esiste: “Diverse volte intervengo – ci racconta Svitlana – dicendo che in caso di truffe e maltrattamenti, per coloro che non possono denunciare in prima persona, a causa di problemi di regolarità di soggiorno, facciamo la denuncia a nome nostro, come USB, e mettiamo la persona in contatto con avvocati per offrire tutto il supporto possibile”.

Per chiunque voglia saperne di più sulla rete “La nostra vita all’Estero” forniamo di seguto tutti i contatti per mettersi in comunicazione con i referenti.

Contatti Utili

Sportello Immigrati USB Campania

via Carriera Grande, 32

Svitlana 3293620260