La Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la legge lombarda sulle case popolari

 

Nel 2016 la giunta lombarda guidata dall’ex ministro dell’interno Roberto Maroni aveva approvato una legge regionale che restringeva il requisito di accesso alle case popolari: da quel momento avrebbe avuto diritto a un alloggio popolare solo chi poteva provare la «residenza anagrafica» o lo «svolgimento di attività lavorativa in Regione» per almeno cinque anni. La norma, come segnalato già quattro anni fa da molte associazioni, sindacati e partiti impediva di fatto il godimento del diritto agli stranieri arrivati da poco in Italia. I sindacati degli inquilini Sunia Cgil e Sicet Cisl avevano additato il regolamento come “pessimo” e “discriminatorio”. La maggioranza in Consiglio Regionale ha sempre difeso il limite dei 5 anni, proponendo talvolta di innalzarlo sino anche a 15.

 

La Corte Costituzionale ha dato però ragione a quanti avevano parlato di discriminazione. “È irragionevole – si legge nel comunicato della Corte – negare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente o non abbia un lavoro nel territorio della Regione da almeno cinque anni. Questo requisito, infatti, non ha alcun nesso con la funzione del servizio pubblico in questione, che è quella di soddisfare l’esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di effettivo bisogno.”

Con la sentenza n.44/2020, quindi, la Corte ha accolto il ricorso presentato dal Tribunale di Milano. La longevità della residenza – secondo i giudici – potrebbe semmai servire ai fini della composizione di graduatoria ma il principio, così formulato, viola “i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto fonte di una discriminazione irragionevole in danno di chi, cittadino o straniero, non possieda il requisito richiesto.” e ancora “la norma […] contrasta anche con il principio di uguaglianza sostanziale”.

Non è la prima volta che la Corte è chiamata a decidere su norme regionali riguardanti l’accesso all’edilizia popolare da parte degli stranieri, negli anni però il suo orientamento sembra essersi modificato. Quindici anni fa, infatti, un simile ricorso era stato rigettato perché il requisito dei 5 anni era stato ritenuto non discriminatorio. Più recentemente, però, la Corte aveva dichiarato incostituzionale una simile norma approvata dalla Valle D’Aosta che prevedeva ben 8 anni di residenza anagrafica.

Ricordiamo inoltre che lo scorso dicembre, il Governo Conte II ha impugnato la legge regionale abruzzese (qui il nostro articolo) che introduceva stringenti requisiti burocratici e patrimoniali per gli stranieri che chiedevano di godere di questo diritto.