Integrazione in quarantena: la storia di Mouktar 

 

Stranieriincampania ha intervistato Mouktar, un ragazzo di 27 anni partito dal Camerun. Mouktar. Oggi vive e studia a Napoli, dove è impegnato in numerose attività di cittadinanza attiva, ma il suo sogno è appeso ad un filo chiamato permesso di soggiorno. Ci siamo fatti raccontare come da un giorno all’altro la sua vita sia cambiata a causa dell’emergenza coronavirus, ma prima gli abbiamo chiesto del suo arrivo in Italia. 

Ciao Mouktar ci racconti di come sei arrivato in Italia?

Io vengo dal Camerun, un paese dell’Africa centrale, sono partito nel 2016 e ho attraversato tre paesi. Prima sono stato in Nigeria 12 giorni, un mese in Niger e poi nove mesi in Libia. Dalla Libia ho preso il gommone e sono sbarcato a Catania il 12 giugno 2017 e mi hanno trasferito subito a Napoli. 

Cosa hai fatto appena arrivato in città? 

Per me non è stato semplice, perché non parlavo l’italiano, c’erano un sacco di cose che non conoscevo ed anche il cibo era molto salato per me. Quando sono arrivato ho iniziato subito ad andare a scuola e a fare varie attività. Ho capito che mi piaceva studiare e ho preso la licenza media, poi mi sono iscritto immediatamente alle superiori con indirizzo scienze umane e l’anno prossimo spero di prendere il diploma. Contemporaneamente ho fatto domanda alla Caritas e a gennaio dell’anno scorso ho iniziato il Servizio Civile. Mi è piaciuto molto, stavo nel quartiere Sanità alla cooperativa sociale La Locomotiva Onlus che si occupa dei senza fissa dimora, lì vanno a dormire e mangiare. Io faccevo un po’ di tutto, certe volte stavo in accoglienza, altre al guardaroba, mi capitava ogni tanto di stare in cucina a preparare la cena e la colazione per il giorno dopo. 

La prima impressione di Napoli?

Mi sono innamorato subito di Napoli e della sua storia, perché è una città molto accogliente. Appena sono arrivato volevo vedere lo stadio San Paolo, non sapevo neanche dove fosse, ho dovuto chiedere alle persone come arrivare. Una cosa che mi ha emozionato molto è stata che io non avevo i soldi per comprare il biglietto e ho chiesto se potevo entrare solo per visitare lo stadio, ma poi quelli che lavoravano lì mi hanno fatto entrare lo stesso a vedere la partita. Si stava realizzando un sogno, il San Paolo lo avevo visto solo in televisione o in foto. Quel giorno si giocava Napoli-Chievo Verona, abbiamo vinto 3 a 0 grazie ai gol di Insigne e una doppietta di Milik. 

Come sei stato accolto?

Guarda, non te lo so spiegare, è proprio come se fosse la mia seconda casa. Perché le persone mi hanno aperto le braccia, ho fatto tante amicizie, ho conosciuto tanti napoletani con cui la sera esco e andiamo a mangiare o a ballare. E’ molto emozionante. I miei amici mi hanno aiutato ad integrarmi e a imparare la lingua. 

Come è iniziato il tuo percorso di integrazione?

Appena arrivato alla Sanità sono stato ospitato da CIDIS Onlus e grazie a loro ho iniziato tutte queste belle cose che sto facendo oggi. Loro mi hanno accolto e mi hanno mostrato tante strade che avrei potuto prendere e continuano a seguirmi ancora oggi. Con il Cidis ho scritto per la prima volta il mio nome in italiano, grazie a loro ho imparato dove prendere un panino e come andare a fare la spesa. Mi hanno aiutato molto. Quando venivano gli operatori io li seguivo passo passo, guardavo tutto quello che facevano. Oggi collaboro anche con loro per alcune attività. Faccio anche il mediatore linguistico visto che parlo italiano, inglese, francese, un po’ di arabo e il fulah che è un dialetto della mia zona. 

Oltre il servizio civile hai avuto altre esperienze di lavoro?

Il servizio civile mi ha aiutato ad imparare tante cose, sia dai compagni che dagli ospiti. Ho lavorato anche alle Universiadi 2019 che si sono tenute a Napoli. E’ stato molto bello, c’era gente da tutto il mondo. E’ stato un onore per me entrare nello stadio San Paolo pieno di gente, io portavo la bandiera di Cipro. E poi ho iniziato un’altra bella esperienza, ho fatto un corso per fare il pizzaiolo. Secondo me se uno viene a Napoli e deve portare un’esperienza con se, questa è fare una pizza. L’ho fatto al Binario con un maestro che si chiama Rezza.

E tu cosa vorresti fare in futuro?

In futuro vorrei prendere il diploma e forse laurearmi e visto che sto facendo il mediatore linguistico vorrei seguire questa strada. 

Torneresti in Camerun?

Ogni tanto ci penso. Forse un giorno vorrei tornare a vedere la mia famiglia e la mia casa. Ma non ci penso proprio a tornarci a vivere. 

Quindi vuoi restare in Italia, ma ti manca ancora qualcosa?

A febbraio dell’anno scorso sono stato ascoltato dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e la mia richiesta è stata respinta, ma ho fatto ricorso e adesso sto aspettando. Non so quale sia il problema, forse è perché da dove vengo non c’è una guerra, ma non capiscono che la mia non è stata una scelta. Secondo me se una persona percorre la strada che ho fatto io, attraversa il deserto o il Mediterraneo, il permesso è una cosa che non si può negare. Poi sto facendo di tutto per integrarmi, lo so che sono sulla strada giusta. Spero un giorno di avere una risposta positiva. Per me avere un documento significa essere regolare, se non hai i documenti non esisti. 

Come stai vivendo l’emergenza coronavirus?

Ti parlo di Mouktar come straniero che vive in Italia e che non si aspettava assolutamente questo coronavirus. Noi siamo in un centro di accoglienza nella provincia di Napoli che ospita, più o meno, una trentina di persone. Per ora facciamo sempre le stesse cose, siamo chiusi dentro tutti insieme. Le giornate passano, la mattina mi alleno un po’ sempre dentro la struttura, poi mi chiudo in camera, leggo i giornali, ascolto le notizie e la sera guardo qualche film. 

Hai parlato anche con gli altri ragazzi del centro, com’è la situazione?

La situazione è sotto controllo perché anche noi ci siamo resi conto che per combattere questa malattia è necessario stare in casa. Siamo tutti preoccupati perché all’inizio noi stranieri non capivamo, credevamo riguardasse solo gli anziani, poi abbiamo visto ammalarsi anche i giovani e abbiamo capito che possiamo essere colpiti tutti. Questo ci spaventa. Questa malattia ci ha terrorizzati perché sappiamo che le cose non saranno più come prima. Non ci fideremo mai di nessuno, perché non sappiamo chi l’ha avuta e chi no. Ci vorrà un po’ di tempo per tornare alla normalità. Prima ci abbracciavamo e non credo riusciremo a farlo a breve. 

Cosa vorresti fare dopo?

Mi farebbe molto piacere trovare un lavoro con un contratto, perché nell’esperienza che sto vivendo, ho visto tutti quelli che lavoravano regolarmente hanno avuto delle tutele dallo Stato, noi invece no, niente buoni spesa e niente bonus. Speriamo di ottenere un permesso speciale, magari per calamità o per emergenza sanitaria. So che in molti stanno chiedendo una sanatoria, spero sia accolta. 

 Hai parlato con la tua famiglia in Africa? Loro come la stanno vivendo?

Ho parlato con loro e sono preoccupati. All’inizio non c’erano contagi, ma adesso stanno registrando i primi casi dovuti alle persone che viaggiano. Adesso hanno messo anche loro in quarantena e non possono fare la stessa vita di prima. Mi hanno raccontato che sono scossi, perché da loro non si può prevenire come si fa qui. In Africa non è qua che possiamo rimanere in quarantena e abbiamo servizi e tutto, da loro non si fa così. Questa cosa mi preoccupa a livello personale.  Ci auguriamo che finisca velocemente così che possiamo tornare alla nostra vita quotidiana. 

Cosa possiamo imparare da questa situazione?

Speriamo di rimanere sempre umani perché questa malattia ci ha insegnato tanto. Oggi sappiamo che abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Da quando questa “tarantella” è iniziata ho ricevuto un sacco di chiamate di persone che mi chiedono se ho bisogno di qualcosa. Questa cosa mi commuove, mi emoziona, non trovo le parole per ringraziare. Quello che voglio dire è che l’unione fa la forza. Vediamo i medici che arrivano da tutte le parti del mondo per aiutarci, speriamo di riuscire a prendere qualche insegnamento da quello che è accaduto.