Il Tribunale svizzero blocca espulsione in Italia: necessario verificare adeguata assistenza

Il Tribunale svizzero blocca espulsione in Italia: necessario verificare adeguata assistenza

 

Il Tribunale svizzero ha bloccato l’espulsione in Italia di una richiedente asilo nigeriana a causa della mancanza di garanzie sull’adeguata assistenza umanitaria e sanitaria a seguito dell’attuazione dei Decreti Sicurezza. La notizia è stata pubblicata dall’agenzia di stampa elvetica Swissinfo, che riporta una sentenza del Tribunale Amministrativo Federale del 17 dicembre scorso, che a sua volta cita una precedente sentenza del 2014.

La vicenda

La donna era arrivata in Italia dove si era anche sposata con un suo connazionale, ma nel 2018, a seguito di atti di violenza subiti dal marito, era fuggita in Svizzera dove ha presentato richiesta di protezione internazionale. La richiesta era stata rigettata dalla Segreteria di Stato per l’Immigrazione che, appellandosi all’accordo di Dublino, ha ricordato come in questi casi la richiesta vada analizzata dal primo Paese d’ingresso, cioè l’Italia. La donna ha però presentato ricorso contro la richiesta di espulsione in Italia. Qui è intervenuto il Tribunale Amministrativo Federale di San Gallo che ha chiesto alla Segreteria di Stato di riesaminare il caso e di approfondire “le condizioni effettive e concrete della presa a carico delle famiglie in Italia nei centri di prima accoglienza”. 

La sentenza sottolinea che “tenuto conto dei cambiamenti avvenuti in seguito all’entrata in vigore del Decreto Salvini, il Tribunale è del parere che la giurisprudenza Tarakhel deve essere estesa alle persone che soffrono di malattie (somatiche o psichiche) gravi o croniche, che necessitano una presa a carico immediata al loro arrivo in Italia”. Il Tribunale quindi ha evidenziato la necessità di verificare che l’assistenza sia fornita in maniera adeguata a casi che richiedono un’attenzione specifica.

Cosa cambia con i Decreti Sicurezza

Nella nota stampa divulgata dal TAF di San Gallo si esprime preoccupazione per i cambiamenti al sistema di accoglienza apportati dal Decreto Sicurezza che ”pone ai richiedenti nuove difficoltà/nuovi ostacoli che complicano l’accesso diretto alla procedura d’asilo e alle prestazioni di accoglienza”. Infatti, specifica la nota: “Ora i richiedenti trasferiti in Italia nell’ambito della procedura Dublino non hanno più diritto a essere ammessi in un centro di accoglienza della categoria SPRAR di seconda accoglienza. (…). Il «decreto Salvini» prevede al contrario che i richiedenti ritrasferiti secondo il sistema Dublino possono essere alloggiati soltanto nei grandi centri governativi di prima accoglienza, oppure in centri di emergenza provvisori”. Infine il TAF rileva che gli standard variano considerevolmente da regione a regione e  che “le condizioni nei centri si sono deteriorate, in particolare per le persone vulnerabili e traumatizzate”. 

Nessuna carenza sistemica

La sentenza E952/2019 invita le autorità svizzere competenti in materia di asilo ad ottenere garanzie individuali sull’assistenza medica e a verificare le condizioni di accoglienza. Secondo il TAF, dopo l’approvazione dei Decreti Sicurezza,  il trasferimento dei richiedenti asilo in Italia è ancora possibile, perché il sistema di accoglienza garantisce i servizi base, ma in caso di famiglie e persone seriamente malate va preventivamente verificato che sia garantita una presa a carico adeguata. 

Il precedente

Il Tribunale richiama la precedente sentenza Tarakhel del 2014 in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (CEDU) rilevava che l’Italia non offre sufficienti garanzie ai richiedenti l’asilo e che la Svizzera non può quindi rinviare una famiglia di rifugiati nella Penisola, a meno di non aver ottenuto dalle autorità italiane indicazioni su come si sarebbero presi cura delle persone in questione. La causa, nello specifico, riguardava una famiglia afghana residente a Losanna composta da 8 persone – padre e madre e sei figli. Nella sentenza il giudice si raccomandava di espellere migranti solo nel caso venisse loro garantita dal paese di destinazione una adeguata assistenza umanitaria, sanitaria e giuridica.