Il coraggio della libertà: una storia di ribellione 

 

Blessing Okoedion è una trentaduenne nigeriana autrice del libro Il coraggio della libertà, un racconto di cosa significhi essere vittime di tratta. Laureata in informatica nel suo paese, fu portata in Europa con la promessa di un lavoro. Una volta in Italia si ritrovò in un incubo: venduta come merce di scambio, costretta a prostituirsi e subire violenze e soprusi indicibili. Come lei, sono migliaia le donne attratte nei paesi occidentali con l’inganno e la minaccia da organizzazioni criminali che le costringono a prostituirsi per ripagare i debiti per il viaggio o evitare ritorsioni sulla famiglia rimasta nel paese di origine.

Un’indagine del Ministero della Giustizia evidenzia come solo nel biennio 2013/2014 sono state oltre 15.000 le vittime di tratta di esseri umani nell’Unione Europea, una stima quasi certamente al ribasso per l’impossibilità di raggiungere quanti impossibilitati alla denuncia, o residenti irregolari. Si tratta per la maggior parte di giovani donne, età media 25 anni, e moltissime minorenni – oltre la metà sono rumene, un quinto proveniente dalla Nigeria. Su tutte le vittime ufficiali di tratta di esseri umani, il 67% è sottoposto a sfruttamento sessuale, un fenomeno che assume i tratti di vera e propria schiavitù e che ha inizio appena giunti nel paese: quasi sempre la vittima decide volontariamente di partire, attratta con l’inganno di un lavoro o qualche prospettiva economica e sociale positiva.

Blessing Okoedion ha però avuto il coraggio di ribellarsi, ha trovato la forza di denunciare e ricostruire un percorso di liberazione dalla schiavitù e dal trauma. Accolta presso la struttura delle suore orsoline “Casa Rut” di Caserta ha potuto riacquisire la libertà, vedere pian piano rimarginate le terribili ferite che uomini senza scrupoli le hanno inferto. Da allora è impegnata quotidianamente nella testimonianza sulla sua esperienza affinché altre donne nella stessa situazione possano rompere le catene della costrizione e riprendersi la dignità di cui tutti hanno diritto.

Incontriamo Okoedion in un pomeriggio di metà luglio a poca distanza da Casa Rut, struttura con la quale ancora oggi collabora. Parlando con lei si percepisce chiaramente una tensione continua alla necessità del racconto, la voglia impellente di trasmettere una verità che non può e non deve essere ignorata. Quella tensione propria delle vittime di terribili tragedie che non vogliono vedere dimenticati e ripetuti i crimini subiti. È un racconto a tratti duro e spietato che non scalfisce il sorriso della nostra interlocutrice, un sorriso dato probabilmente dalla consapevolezza di aver superato il peggio e dalla voglia di cambiare le cose, ma che ci mette di fronte alle nostre responsabilità: il dovere di comprendere.

Comprendere da dove arrivano quelle donne che ogni giorno sono costrette a vendere il proprio corpo ai margini delle nostre città, comprendere la complicità dei clienti italiani in un sistema di terribile sfruttamento quotidiano e criminale, comprendere come sia necessario non girare la faccia dall’altra parte, ma assumersi la responsabilità, culturale e morale, di interrompere il meccanismo di sfruttamento e compravendita del corpo delle donne. Perché non può esserci scelta quando una donna è minacciata di morte, quando teme per l’incolumità della propria famiglia, quando viene privata di ogni speranza, stuprata ogni giorno, più volte al giorno. “Raccontare rafforza; raccontare rassicura che non sei sola, ti aiuta a superare il dolore che senti ogni giorno”.

Il Coraggio della Libertà, il libro-testimonianza di Blessing Okoedion (pubblicato Paoline Editore), nasce durante l’accoglienza nella struttura fondata e animata da Suor Rita Giarretta, religiosa che a Caserta è da sempre impegnata nell’assistenza di donne vittime di tratta.

“Nel 2013 sono stata portata in Italia con l’inganno e costretta a prostituirmi. Ringrazio Dio per avere avuto la forza di denunciare – ci racconta Blessing – Dopo la denuncia, a Casa Rut ho potuto cominciare il mio percorso di libertà e empowerment. Nel 2015, quando già portavo la mia esperienza in giro per l’Italia e anche in Vaticano, Suor Rita mi ha proposto di raccoglierla in un pamphlet con l’aiuto della giornalista Anna Pozzi. Ci siamo rese conto subito che quello che stavamo componendo sarebbe stato però un vero e proprio libro”.

Mettere nero su bianco, diffondere la sua storia sembra divenire anche una pratica di autoanalisi, utile a superare il trauma: “Raccontare la vita di tante ragazze vittime di tratta, raccontare quello che io stessa ho subito in Italia, mi dà senso e mi aiuta a costruire la mia libertà”.  Ma la sua è anche una grande opera di divulgazione, destinata agli italiani e a quante si trovano nella sua stessa situazione: “Raccontare è qualcosa che non serve solo a me, ma anche agli altri. Tutto ciò che ho dentro può essere utile per un cambiamento generale, come quando una donna mi ha confidato di aver letto della mia esperienza su suggerimento della suocera”.

È visibile la soddisfazione della nostra interlocutrice quando racconta della diffusione della propria esperienza: “La mia testimonianza quindi vale non solo per la mia libertà, ma per la libertà di tutte. Spesso siamo schiavizzate e vittime di pregiudizi senza rendercene conto. Pensiamo di altri il contrario di quello che sono per davvero. Molte donne vittime di tratta hanno paura dei pregiudizi, di essere giudicate per la propria condizione, di non essere credute sulle ragioni che le hanno portate in quella situazione e su quanto hanno vissuto. Sono stata contattata da una vittima che si trova a Londra: non riusciva a raccontare e a denunciare per la paura dello stigma sociale”.

Proprio lo stigma sociale resta uno dei tratti da abbattere con il racconto e la testimonianza, la missione di Blessing Okoeidon è proprio fare in modo che le vittime possano dar voce alla loro storia e liberarsi dai fantasmi del passato. “Raccontare è un modo per liberarsi e per fare in modo che lo facciano anche le altre. Tante che mi hanno detto ‘Questo è successo anche a me’”.

Quando si parla di induzione alla prostituzione, di sfruttamento del corpo delle donne non può evitarsi una riflessione sul ruolo degli uomini. D’altronde, ragionando per un attimo anche solo in termini di mero mercato, se c’è una offerta è perché esiste una domanda e sono gli uomini – uomini italiani – che in fin dei conti scelgono di fermarsi sul ciglio della strade e pagare una prostituta: “Durante una testimonianza a Verona mi si è avvicinato un uomo che mi ha detto che nel pagare le prostitute ‘voleva aiutarle’ dandole più denaro per le proprie prestazioni, gli ho spiegato che usandole come un oggetto lui ha alimentato il ciclo criminale dello sfruttamento. Ho parlato con lui a lungo e penso che abbia capito. Credo che le mie testimonianze possano anche avere un effetto sui clienti, su quegli uomini che pagano le prostitute non avendo la consapevolezza di alimentare un ciclo di schiavitù”.

Ma cosa possiamo fare per aiutare le donne vittime di tratta? “È una domanda molto difficile a cui rispondere. Si possono fare piccole cose. Agire sulle famiglie delle vittime che non reagiscono per paura di ritorsioni e finiscono per diventare complici per paura di ritorsioni e violenze. Ma si può fare qualcosa e il cambiamento è possibile: vanno orientate le famiglie e le vittime. Usando anche i canali culturali e sociali delle comunità di origine e le comunità straniere nei paesi europei”.

Blessing suggerisce quindi di orientare anche i membri delle chiese nigeriane per fare opera di sensibilizzazione: formare i pastori per arrivare ai fedeli.

Quando si parla di tratta, la parola “Madame” indica la trafficante che gestisce le vittime a scopo di sfruttamento sessuale. “Spesso neanche le Madame sono consapevoli di ciò che stanno facendo, inserite in un circolo vizioso di sfruttamento e violenza di cui esse stesse sono vittime, persone traumatizzate che non riescono a guarire senza terapia e orientamento. Sono esse stesse succubi della violenza che ora le porta a divenire sfruttatrici, magari sotto pressione dei mariti che sono parte della criminalità organizzata”.

Oggi Blessing Okoedion continua il suo percorso positivo e di rinascita collaborando con Casa Rut e la cooperativa New Hope, portando avanti la sua attività instancabile di testimonianza e con il proposito di iscriversi nuovamente all’università: come tanti altri migranti, infatti, il suo titolo di studio non è riconosciuto dalle autorità italiane, un ulteriore ostacolo all’integrazione.

Il lavoro nella cooperativa New Hope assume per lei un valore simbolico “Sulla strada non sei nessuno, molte ragazze per sopravvivere si drogano. Non è normale svegliarsi ogni giorno ed essere violentate per ore e ore per denaro che viene portato via dagli sfruttatori. Ti senti morta, non ti senti una persona. Abbiamo sogni che ci vengono tolti e distrutti. Nella cooperativa lavoriamo stoffe africane e qualsiasi scarto viene riutilizzato. Lavorare su queste stoffe, che vengono riutilizzate e apprezzate, dà un senso nuovo: tutto può rifiorire. Tutto può rinascere con determinazione e consapevolezza”.