I dolci della tradizione napoletana in chiave halal: visita alla Pasticceria Lauri

 

 

Il quartiere Vicaria di Napoli, conosciuto anche come Vasto, è costituito da un blocco compatto di stradine nelle vicinanze della stazione Garibaldi. Proprio in questa zona, ormai da 25 anni, si registra una forte componente di residenti stranieri, principalmente di nazionalità algerina, magrebina e senegalese. In via Bologna, una di queste stradine che ospita il mercato senegalese, si trova la Pasticceria Lauri, che dal 1963 sforna, ogni giorno, i dolci tipici della tradizione napoletana. Negli anni ‘90, la gestione della pasticceria passa dal suo fondatore, Angelo Lauri, ai due figli, Giovanni e Luigi, i quali si accorgono che qualcosa nel quartiere sta cambiando e decidono di sperimentare nuove ricette, rivisitando alcuni dolci della tradizione in versione halal e di arricchire la propria produzione di odori e sapori nuovi.

Halal in arabo significa “lecito”, ed in ambito alimentare indica un cibo idoneo al consumo secondo i dettami della religione musulmana, cioè deve essere realizzato secondo particolari lavorazioni ed escludere determinati ingredienti, come i derivati del maiale. Stranieriincampania ha incontrato Giovanni Lauri per saperne di più sulla pasticceria.

 

Ciao Giovanni, ci racconti un po’ la storia della pasticceria?

La pasticceria Lauri nasce nel 1963 per mano di mio padre, Angelo Lauri. Poi è passata a me e mio fratello, Giovanni e Luigi Lauri. La nostra è una pasticceria napoletana per eccellenza. Negli ultimi 25 anni, con l’arrivo di extracomunitari del nord Africa, abbiamo scoperto un po’ di pasticceria araba.

Pasticceria araba cosa vuol dire?

Visto che i magrebini sono stati colonizzati dalla Francia, si parla di pasticceria francese. La differenza è che non abbiamo utilizzato più né il grasso di maiale, né l’alcool. Nella nostra pasticceria trovi il babà che è bagnato solo con acqua e zucchero, a chi non è musulmano aggiungiamo anche il rum. Altra storia è per la sfogliatella riccia che in qualunque parte del mondo è fatta con il grasso di maiale, noi l’abbiamo sostituito con l’olio di karitè, che è utilizzato per la cosmetica ma anche per prodotti alimentari. Quando si va a lavorare quest’olio è molto simile allo strutto, ma è un grasso vegetale.

Qual è il vostro prodotto principale?

Il nostro prodotto di punta è il millefoglie, in francese il millefeuille, fatto con una crema all’interno con pochissimo zucchero, perché tutto viene compensato dallo zucchero messo sopra, lo zucchero fondente, che ha una forma particolare. Noi inizialmente lo facevamo con la nostra crema pasticcera tradizionale che prevede 500/600 grammi di zucchero per un chilo, immaginate a scendere fino a 40 grammi. Ci siamo riusciti facendo varie prove e facendole assaggiare a un ragazzo che era scappato negli anni di piombo dall’Algeria e che la mia famiglia si è un po’ cresciuto. Purtroppo adesso non c’è più.

Quando avete iniziato a produrlo?

Tutto nasce perché all’inizio avevamo nel negozio delle foto della pasticceria francese, tra cui il millefoglie. Questo ragazzo algerino ogni volta che veniva me lo chiedeva e mi spiegò che per loro la millefoglie è come il caffè per i napoletani. Noi facciamo la pausa con il caffè, loro con la millefoglie. All’inizio non gli davo importanza, lui era un ragazzino di 17 anni, ma poi ha insistito, mi chiese di provare una volta per sfizio. Visto in diapositiva mi sembrava un dolce semplice da fare, era solo pasta sfoglia e crema con sopra dello zucchero fondente. La prima volta lo feci con la nostra crema pasticcera. Non essendo pasticcere, lui quando lo vide mi disse subito “bravo, bravo lo hai fatto bene”. Come gli diede il primo morso mi disse che era troppo dolce, quasi immangiabile. Lì mi resi conto che era impossibile metterci la nostra crema, allora iniziai a fare degli esperimenti diminuendo lo zucchero cento grammi alla volta. Ho trovato poi un equilibrio con 40 grammi di zucchero per ogni chilo di crema. Neanche la sfoglia è quella del nostro millefoglie tradizionale perché è ancora più sottile. Devo dire che questa esperienza ha fatto sì che diventassimo famosi per il millefoglie, questo adesso è il nostro dolce di punta. Io faccio millefoglie a tutti i gusti sia per gli italiani che per gli stranieri, proprio perché la mia pasta è soffice e si taglia senza problemi.

Vi siete un po’ anche adattati alla clientela?

In realtà ci siamo ispirati. Devo premettere che la pasticceria araba, tra Algeria Egitto e Turchia è la migliore al mondo. Sono bravissimi. Solo che certe volte non hanno materie prime adeguate. Poi ho fatto delle ricerche, ho iniziato a studiare le ricette rivisitandole secondo la nostra tradizione.  

Ai clienti napoletani sono piaciute?

Sì certo, facendo millefoglie in quantità industriali, posso permettermi di scegliere le parti migliori e far salire ancora di più la qualità. Nel tempo abbiamo attirato parecchia clientela e abbiamo modificato anche altri dolci, per esempio la crostata.

Fate altre ricette di dolci stranieri?

Sì, certo. C’è il baklava che è il dolce della sposa, io lo faccio con la ricetta dell’Algeria anche perché è una delle comunità più numerose in zona. Lo faccio solo con le mandorle, poi in Tunisia si fa con i pistacchi, in Marocco con le arachidi per abbassare un po’ i costi, ognuno ha la sua ricetta e tradizione. Nel mese del ramadan trovi molti articoli per gli arabi, tutti di nostra manifattura.

Avete anche dovuto modificare leggermente la vostra organizzazione del lavoro?

Ormai sono 25 anni che facciamo queste produzioni, siamo organizzati. Nel periodo in cui digiunano fino al tramonto vendiamo principalmente la sera, nel periodo invernale, vengono a tutte le ore: c’è chi lo prende la mattina e se lo porta a lavoro e chi li prende per pranzo o per cena. C’è un mondo tutto da scoprire. Per esempio nel periodo del ramadan loro sono abituati a mangiare molti dolci soprattutto la mattina, perché devono stare digiuni tutta la giornata e non possono bere e quindi mangiare roba salata al mattino per loro è un problema. Noi non ci facciamo caso, se mangiamo una cosa più salata magari ti accorgi che bevi di più, ma non ti poni il problema, non te ne accorgi neanche. Loro preferiscono il dolce, prendi per esempio il baklava, se ti mangi uno di questi alle quattro e mezza di mattina, prima di iniziare il digiuno, stai apposto e ti rimane la bocca dolce e puoi andare avanti fino alla sera.

Come vive questa “convivenza” nel quartiere?

Tutto questo nasce perché siamo qua, probabilmente se avessi avuto la pasticceria a via Toledo non mi sarebbe neanche venuto in mente. Certo che l’ignorante ci sta sempre, ma io penso che quando vengono, per esempio, algerini ed egiziani, finché non parlano non ti accorgi neanche che sono stranieri. Certo ci sono delle differenze tra le varie etnie. Vivo male la convivenza con la comunità senegalese per il mercato. Ma è colpa anche di chi deve controllare. Io sono l’unico negozio italiano che è rimasto qua perché ho trovato questa fetta di mercato, continuando a fare anche la pasticceria tipica napoletana. Se guardate intorno c’è tutto: babà, sfogliatelle, caprese, sanguinaccio.