“ Gli immigrati ci rubano il lavoro”, la Fondazione Moressa smentisce la fake news

“ Gli immigrati ci rubano il lavoro”, la Fondazione Moressa smentisce la fake news

 

In Italia ci sono più di 2,5 milioni di occupati stranieri (10,6% del totale). Questi contribuiscono alla creazione del  9 % del PIL nazionale, ovvero per quasi 140 miliardi di euro. Tra i temi maggiormente usati per sostenere le tesi contro l’immigrazione è che questa “toglierebbe lavoro agli autoctoni”. La Fondazione Leone Moressa – con il sostegno di MoneyGram – ha pubblicato uno studio per sfatare questa leggenda metropolitana che percorre il dibattito pubblico da anni e non solo in Italia. Se solo pochi decenni fa era usata come arma retorica contro i lavoratori meridionali trasferitesi al nord del Po, il dibattito su lavoratori stranieri “usurpatori” di posti di lavoro nazionali è stato fondamentale per gli esiti del referendum sulla Brexit.

La Fondazione Leone Moressa è un istituto nel 2002 su iniziativa della Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre CGIA, specializzato nello studio delle fenomenologie e delle problematiche relative alla presenza straniera sul territorio.

Le sue ricerche hanno lo scopo di diffondere la conoscenza del valore economico degli stranieri in Italia.

I dati analizzati dalla Fondazione offrono un quadro della situazione piuttosto chiaro che consente infine di affermare che la competizione tra italiani e stranieri nel mercato del lavoro in realtà non esiste.  “La manodopera straniera  – si legge nel documento – appare complementare a quella autoctona, quindi funzionale all’economia italiana”. Si torna ad evidenziare, quindi, il ruolo strutturale dei migranti per il buon funzionamento dell’economia italiana (come abbiamo più volte evidenziato sulle nostre pagine). 

Italiani e stranieri fanno lavori diversi. Se gli stranieri svolgono prevalentemente lavori manuali, gli italiani sono principalmente lavoratori qualificati. I migranti quindi sono particolarmente importanti in settori ad alta intensità  di lavoro manuale: non solo agricoltura, nelle regioni ad alta produzione agroalimentare, o cura e assistenza alle persone ma anche manifattura. 

Un dato importante sottolineato dalla Fondazione è che anche negli anni della crisi economica (2008-2013) si è “avuto un impatto più rilevante tra gli stranieri che tra gli italiani, vista la forte concentrazione dei primi in settori particolarmente esposti, come l’edilizia”. Con il risultato di una diminuzione  del tasso di occupazione tra i migranti tre volte maggiore rispetto agli italiani.

Un altro argomento contro la tesi  del “ci rubano il lavoro” è che nonostante la riduzione dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro per quasi il 96% nel corso degli ultimi dieci anni (e del 60 % per tutte le altre motivazioni) il tasso di occupazione tra gli italiani non ha subito nessun “balzo in avanti”. 

Il numero di disoccupati italiani è però molto simile a quello degli occupati stranieri, rinnovando l’illusione che espellendoli tutti dal mercato del lavoro si potrebbe raggiungere la massima occupazione tra gli italiani. In realtà le cose non stanno così: per collocazione geografica, formazione, titolo di studio e ragioni sociali i migranti svolgono i lavori che gli italiani non sono più disposti ad intraprendere   (colf, badante, bracciante agricolo, operaio non specializzato, etc.). Questo aspetto si evidenzia soprattutto al sud, dove la mancanza di posti di lavoro qualificati quindi indesiderati dagli italiani, si manifesta in un maggiore tasso degli occupati tra gli stranieri rispetto agli italiani (quando l’emissione del permesso di soggiorno è legato alla posizione lavorativa, è inevitabile che gli stranieri siano indotti ad accettare lavori anche al di sotto delle proprie aspettative o qualifiche).

Infine, il rapporto della Fondazione, rilancia quanto più volte espresso dall’ISTAT o dall’INPS: l’invecchiamento della popolazione italiana “autoctona” porterà nei prossimi anni ad una diminuzione della popolazione in età lavorativa e ad un aumento della popolazione bisognosa di cure e assistenza. “Sebbene l’immigrazione non sia l’unica soluzione, è innegabile il contributo di questa componente, specialmente negli anni a venire” conclude il report.

Il rapporto è consultabile qui.