Dall’Iran all’Italia, una storia di libertà e impegno

 

Samira Lofti Kahh è una sindacalista trentaseienne italo-iraniana attiva nella provincia di Caserta. Stranieriincampania l’ha incontrata per farsi raccontare la sua esperienza di immigrazione e di impegno.

Ciao Samira, grazie per averci incontrato. Ti va di raccontarci qualcosa della tua vita in Iran e del tuo arrivo in Italia?

Ho sempre saputo di essere un po’ diversa dalle mie amiche, avevo obiettivi diversi. Per loro la definizione della vita perfetta era sposare un uomo ricco e fare figli, io invece volevo essere indipendente, volevo lavorare, studiare, girare il mondo. Volevo fare esperienze nuove ma purtroppo in Iran per una donna fare tutto questo non è facile. La decisione di andare via è nata quando andavo a scuola. Lì è divisa per sesso, non si poteva stare neanche gli uni vicino agli altri. Già da questo sentivo una differenza nella qualità della vita rispetto ad altri paesi: vedevo film stranieri e sentivo sempre più la mancanza della libertà, da noi non puoi neanche scegliere cosa indossare, con chi uscire.

Ho provato per anni e anni  ad uscire dall’Iran senza successo. Mi sono iscritta all’Università, l’ho frequentata per 5 anni e nel frattempo ho inviato diverse lettere di ammissione in atenei di vari paesi. Per tutti erano richiesti molti requisiti, tra cui la conoscenza della lingua. Le mie giornate passavano nelle ambasciate per capire meglio come fare. Un giorno finalmente mio padre ha scoperto che l’Italia ha una scuola italiana a Teheran che rilascia certificati validi per poi studiare in Italia. Ad agosto 2012, dopo quasi 18 anni, sono riuscita finalmente a realizzare il mio sogno di andare via dall’Iran. Sono stata ammessa all’Università di Sassari dove mi sono laureata in Pianificazione Urbanistica.

Come è stato il tuo primo approccio all’Italia? 

I primi giorni ero in stato di shock. Non capivo nulla, non sapevo come arrivare in Sardegna, dove devo dormire, come trovare una casa. In Iran non ero abituata ad usare internet come in Italia, non sapevo come comprare i biglietti, dove cercare gli annunci per una casa, gli indirizzi utili. Il primo anno insomma è stato molto duro abituarmi ad un posto nuovo, una lingua appresa a scuola con cui ora dovevo anche studiare, la mancanza dei genitori e degli amici, la necessità di mettere a posto tutti i documenti. Un periodo non facile.

E come sei finita a Caserta?

Mentre studiavo in Sardegna ho conosciuto il mio futuro marito che era di Caserta. Lui mi ha ospitato mentre finivo di scrivere la tesi e dopo la laurea sono rimasta a vivere qui. Un primo vero problema c’è stato quando ho chiesto il permesso di soggiorno per motivi famigliari e la questura l’ha bloccato. Tutti i giorni facevo avanti e indietro dagli uffici per capire come fare e non risolvevo nulla, finché un giorno mi sono rivolta allo Sportello immigrazione della Cgil. Grazie a loro sono riuscita a risolvere il mio problema e soprattutto lì ho capito che devo studiare per conoscere i miei diritti e difenderli. Ho chiesto di dare una mano come volontaria e da lì è iniziata la mia esperienza nel sindacato.

Quindi ti sei da subito impegnata per i migranti.

Sì, adoravo questo campo, volevo essere d’aiuto agli altri stranieri e alla società. Studiavo molto le leggi, i diritti e le norme che regolano l’immigrazione in Italia, partecipavo alle iniziative della CGIL di Caserta e ogni giorno imparavo cose nuove che condividevo con gli altri migranti. Io stessa in prima persona ho avuto periodi molto duri e volevo condividere la mia esperienza con gli altri per essere d’aiuto, sia con i migranti che con gli italiani, per far loro conoscere meglio la nostra storia e i motivi che ci spingono ad andar via.

Come si è sviluppata poi la tua vita qui?

A Caserta mi sono sposata e lui è sempre stato accanto a me e mi ha sempre aiutato ad andare avanti. Un grande ruolo nel mio percorso di integrazione l’ha avuto la FLAI CGIL. Ho partecipato a tantissime iniziative e attività sociali sul territorio, ho conosciuto tante persone e trovato nuovi amici, conosciuto meglio la cultura italiana.

E sei anche diventata cittadina italiana!

Sai, è una gioia che non si può spiegare. Quando lasci un paese che non senti tuo, lasci anche la tua  famiglia, i tuoi amici, la tua infanzia. Lasci tutto e vai a vivere in un’altra parte del mondo dove ricominci tutto da zero, come una bambina appena nata. Ho imparato davvero la lingua, fatto amicizia e creato una mia famiglia. Questo è per me il mio paese, qui c’è il mio cuore, la mia vita. Quando mi capita di tornare in Iran per vedere gli amici mi manca l’Italia perché questa è casa mia.

Di cosa ti occupi nella tua attività sindacale?

Allora io attualmente sono impegnata con la FLAI, la categoria della CGIL che rappresenta il settore agroalimentare. Mi occupo perlopiù del settore agricolo, sono allo sportello di Casal di Principe e a Pignataro dove ci sono tante aziende agricole e braccianti. Ma non rimaniamo solo negli sportelli, noi andiamo campo per campo, strada per strada, casa per casa. Facciamo in modo di conoscere i problemi dei braccianti e li aiutiamo a risolverli, cerchiamo di supportarli nella comunicazione con gli enti pubblici come Questura, Prefettura, Inps. Soprattutto li aiutiamo a conoscere i loro diritti sul lavoro e lottiamo contro illegalità, lavoro nero, caporalato. Proviamo a creare una società migliore dove ci sia uguaglianza e legalità.

Cosa ti aspetti dal tuo futuro? 

Io devo ancora imparare molto, per me ogni giorno della vita in Italia  è come andare a scuola. Imparo tante cose importanti e utili e ho ancora una lunga strada davanti.

Cosa pensi debba fare l Italia per favorire l’integrazione dei migranti che vivono e lavorano qui?

Allora, ti parlo sulla base della mia esperienza: l’Italia è un paese molto ospitale, gli italiani sono molto gentili e accolgono sempre. Questo aiuta molto ma non basta a un migrante per sentirsi integrato. Servono più posti dove si possano ottenere informazioni, parlo di informazioni primarie – come fare la carta di identità, ottenere il codice fiscale, a cosa serve l’ufficio di collocamento. In realtà questo servirebbe non solo agli stranieri ma a tutti i cittadini. Inoltre, studiare è molto importante per l’integrazione: la lingua è una barriera molto grande. Spesso ci sono pochi corsi serali a disposizione e molti migranti sono costretti a spostarsi con i mezzi pubblici che, però, in certi orari non sono disponibili, con il risultato che tanti non riescono a studiare. Questo è un peccato: è molto importante quando uno straniero è in grado di comunicare con cittadini, quando riesce a raccontare la sua storia, far conoscere la sua cultura e far conoscere se stesso. Molti conoscono il mondo dell’immigrazione solo per quello che raccontano i media e credono solo alle cose negative che si raccontano. Bisognerebbe dare la possibilità ai migranti di partecipare ad eventi nelle scuole, ad iniziative socio-culturali dove possono portare la propria testimonianza. Raccontare la nostra vita prima e dopo l’esperienza di immigrazione, la nostra storia,  i nostri motivi, le nostre difficoltà quotidiane: questo può aiutare molto uno straniero a integrarsi, trovare amici, trovare un lavoro legale e dignitoso, sentirsi una parte della società.

Caserta, 30 settembre 2020