Casa è dove sono felice: il racconto primo classificato al concorso di Passaparola

Casa è dove sono felice: il racconto primo classificato al concorso di Passaparola

Continuano le pubblicazioni dei primi tre racconti premiati nella seconda edizione del Concorso di Letteratura Migrante dal tema “Casa è dove voglio essere”, organizzato da Cidis nell’ambito del progetto Passaparola. 

Ricordiamo che le iscrizioni alla terza edizione del concorso sono prorogate fino al 30 giugno 2022. Questa volta il tema proposto è “Fiabe dal mondo”, tutte le informazioni e le istruzioni per partecipare sono disponibili nell’articolo pubblicato a questo link.

Il premio come primo classificato è andato a “Casa è dove sono felice” di Sajjad Uzair. Un racconto auto-biografico, in cui l’autore ci accompagna nel suo viaggio verso casa, intesa come meta non geografica ma interiore. Partendo dal suo arrivo in Italia, “Bambino”- il soprannome che lo accompagnerà nella sua nuova vita – racconta il suo percorso di integrazione in un piccolo paesino del beneventano. Qui per leggere le motivazioni della Giuria.

Qui per leggere il racconto terzo classificato “Un viaggio verso casa”
Qui il racconto del secondo classificato “La Casa”

Buona lettura!

Napoli, 30 maggio 2022

CASA È DOVE SONO FELICE

di Bambino

Mercoledì segna il display sul tunnel lavamacchine, lo hanno aggiustato ieri. Sinceramente preferisco quando è rotto, quando non mi dice che giorno è perché sembra che mi mette fretta per qualcosa, fretta di dover andare e io non ho nessuna fretta qui. Io ci sto bene a Circello. È un paese piccolo nella provincia di Benevento, lavo macchine e i clienti del mio padrone mi trattano bene, gli amici che mi fanno uscire la sera non mi fanno sentire la lontananza dal Pakistan. Sono Sajjad Uzair per tutti Bambino. Quando vado in giro, non sono il pakistano, lo straniero o quello dello Sprar… sono Bambino. Mi hanno stampato il nome anche su un giubbino. Il nome me lo ha messo Alessia la responsabile dello Sprar quando arrivai a Circello. La sera prima preparai una busta di plastica con le mie cose; le prime cose che presi furono la maglietta bianca, i pantaloncini corti e i sandali rotti. Questo era tutto quello che avevo quando sbarcai ad Otranto per poi essere trasferito a Sala Consilina. Nei sei mesi al Cas li ho stretti a me ogni volta che la sera da solo, senza sapere ancora l’italiano, seduto in un angolo pensavo al viaggio fino a Otranto in quella barca buttato in mezzo a trenta migranti come me vicino ai motori. Una settimana che non terminava mai, poi sbattuto in mezzo a ottanta immigrati nel centro d’emergenza. Nei mesi a Sala Consilina avevo ancora addosso la paura del viaggio e quella di non sapere che fine avrei fatto. Così quando stringevo a me gli abiti dello sbarco mi facevo coraggio di continuare “sei arrivato fin qui, i sandali rotti in mezzo a gente di ogni dove. Devi farcela!”

Quando arrivai a Circello mi accolsero Alessia e Papa Napoli. Alessia è psicologa, non sapevo nemmeno che cosa fosse, dopo ho capito che è una di quelle persone che curano problemi di umore. Lei mi fece una carezza appena scesi dal furgoncino. Erano sei mesi che non sentivo una carezza, pensai a mamma che non avevo più, alla famiglia in Pakistan. Iniziai a piangere senza sapere perché, lei mi abbracciò “come ti chiami?” io non riuscivo a parlare e lei “dai che starai bene con noi. Vedrai.” Io non capivo ancora l’italiano. Avevamo studiato un po’ nei sei mesi a Sala Consilina, ma non tanto. Però capii che forse ero stato fortunato perché sentii per la prima volta “bambino” e mi abbracciò un attimo. “bambino” mi sembrava una bella parola. Dopo ho capito che ero il più piccolo del gruppo che arrivò quel giorno, ma anche di tutta la comunità dello Sprar. Poi Papa Napoli disse “jammo Bambì andiamo dentro che ti faccio conoscere gli altri” sorrideva e cominciai a sorridere anche io.

A Circello mi sentii subito bene. Ebbi la sensazione di essere stato fortunato. La casa Sprar era molto bella e i ragazzi che c’erano mi accolsero subito. Trovai due albanesi che avevo conosciuto in un altro centro, ci salutammo e iniziai a stare con loro. Si vedeva che ero il più piccolo e diventai presto la mascotte della comunità. Quando uscivamo ci portavano sempre a un bar che era il punto di incontro del paese. Ci salutavano tutti senza guardarci in modo strano. Forse perché un paese di 2000 abitanti non si fa i problemi degli immigrati, si conoscono tutti e sanno pure chi viene da lontano. Al tempo pochi sapevano chi ero, fondamentalmente solo gli amici degli operatori ci davano confidenza. Diciamo che diventai Bambino nel 2018 durante un torneo paesano. Ogni via del paese o campagna fa una squadra e si scontrano in un torneo di calcetto, quell’anno diedero la possibilità di far iscrivere anche la squadra dello Sprar per dare un segnale di coinvolgimento nella comunità circellese. Ogni squadra aveva il suo tifo. Fu bello! io, nonostante fossi il più piccolo, giocavo in porta, avanti avevamo due giocatori forti. Tutti gli operatori dello Sprar di Circello e degli altri paesi facevano il tifo per noi e mi incoraggiavano “vai Bambino!”. Ecco da allora tutto il paese quando mi incontra mi chiama bambino.

I primi tempi non furono facilissimi ero piccolo e permaloso involontariamente reagivo male se gli operatori mi rimproveravano. Pensavano che ce l’avessero sempre con me, poi iniziai a capire che in realtà volevano solo portarmi a vivere questa nuova vita nel modo migliore. In realtà erano i miei amici albanesi che mi facevano ragionare. Loro che ne avevano passate di comunità insistevano nel farmi rendere conto che quella di Circello era la migliore e gli operatori erano come fratelli più grandi. Nonostante fossi permaloso capii che dovevo impegnarmi anche io se volevo una vita migliore, in due anni imparai l’italiano e iniziai a pubblicare storie su facebook. Pensavo che a 18 anni sarei dovuto andare via dalla struttura e a me non piaceva la città quindi dovevo trovare il modo di rimanere nel paese. I circellesi mi davano la possibilità di integrarmi ed io capii che dovevo sfruttare questa cosa. Un paese ti può proteggere e ne ebbi la conferma proprio una sera al bar. Mi ricordo che stavamo con Ari e Irvin il dj metteva musica bellissima e anche qualche pezzo della mia cultura ma occidentalizzato. Noi non bevevamo alcolici e ci divertivamo solamente. Le ragazze di Circello ballavano vicino a noi, poi uscimmo e qualcuno iniziò a prenderci in giro. Non era mai successo prima e pensavamo che volessero scherzare, invece questi iniziarono ad urlare e a offenderci. Mi venne da piangere perché iniziavo a stare bene, pensavo fossero tutti amici invece in quel omento mi sentii infelice, come l’anno che passai in Turchia. Andavamo a lavorare e la gente ti fermava per strada e senza motivo iniziava a picchiarti perché la polizia non faceva nulla con la scusa dei documenti che non avevamo. Eravamo clandestini e potevano farci qualsiasi cosa. Ma Circello doveva essere diverso… I baristi uscirono fuori e si incazzarono con i ragazzi buffoni, li mandarono via anche gli altri ragazzi di Circello si incazzarono contro quel gruppetto. Avevano preso le nostre difese “vivete a Circello vuol dire che siete come noi” disse uno. Mi asciugai le lacrime e tornai dentro a ballare. Mi sentii orgoglioso di vivere qui. Insomma ragazzi di Circello che ci avevano difeso. Così iniziai a partecipare alle manifestazioni del paese, ad aiutare per organizzare. Volevo essere circellese. Quella sera si avvicinò Carmine e iniziammo a parlare, lui c’era rimasto male di quello che ra successo così ci offrì da bere al bar. Da quella sera con Carmine usciamo insieme, grazie a lui sono tutti i ragazzi mi hanno conosciuto meglio. Veniva a prendermi e mi portava in giro per i locali anche negli altri paesi. Con lui sono andato al mare e a fare quelle giornate di festa come pasquetta e ferragosto dove stiamo tutti insieme a divertirci. Sembrava, anzi è mio fratello di Circello.

Certo sono capitati momenti difficili e di tristezza. Iniziando a uscire con amici del paese mi innamorai di una ragazza. Stavo sempre col suo gruppo, mi fumavo sigarette per stare con loro. Mi compravano i pacchetti e vivevo da innamorato. Si chiama Giorgia il mio amore e quando glielo dissi mi rispose che voleva solo essere mia amica. Passai una settimana nel letto senza mangiare… volevo stare con lei, sognavo che veniva a prendermi in struttura e ci baciavamo sulle panchine. Ma lei non voleva fidanzarsi con me e la cosa mi spezzava il cuore. Alessia e Papa Napoli venivano per farmi ridere mi raccontavano storie, ma io stavo male. Poi presi i miei sandali rotti pensai alla prima volta che dal Pakistan andai a Iran ai 6 mesi passati in prigione, alla settimana passata senza mangiare né bere dentro la barca vicino ai motori con 30 persone addossate, alla puzza… pensai che mi dovevo alzare chiamai Papa Napoli e gli chiesi di farmi fare un giro. Lui non aspettava altro si accese la sigaretta “andiamo che mi gioco pure una bolletta!”. Papa Napoli è il tifoso napoletano numero uno. Tutti quelli che arrivano allo Sprar dopo tre giorni tifano il Napoli e si mettono a guardare le partite con lui. Fa sempre i turni di notte ma ci porta in giro durante il giorno. Qualsiasi cosa gli chiedi lui sta sempre li e se non può farla trova il modo di non fartelo pesare o di nascosto te la fa fare. è bello stare insieme a Papa Napoli. Quel giorno facemmo un giro sul viale e ognuno che incontravamo ci salutavo “lo vedi quante persone ti vogliono bene? Ci sono altre ragazze che conoscerai”.

Mi concentrai di più sull’italiano tanto che il colloquio per il permesso di soggiorno lo feci tutto in italiano. Si complimentarono tutti, ma non mi fu dato forse perché in quel periodo c’era il Decreto Salvini e tutto sembrava che fosse diventato più difficile… quel periodo avevamo tutti paura di essere mandati via, ma io ho avuto sempre fiducia in Circello. Fatti 18 anni cercai di trovare lavoro e la fortuna fu che un ragazzo dello Sprar dopo il tirocinio decise di andare via, così quello che voleva assumerlo come lavamacchine accettò di prendere me. Iniziai a lavorare e guadagnare qualcosa così presi in affitto un appartamento alle case popolari di Circello. Quando portai la mia roba tutti quelli che abitavano vicino mi diedero una mano. Subito chi mi preparò il pranzo, che la cena chi mi portò qualche dolce. Alcuni si misero a disposizione per controllare i riscaldamenti altri se funzionavano i tubi dell’acqua. Io non sapevo come dire grazie. Tutta quella gente che mi aiutava senza che fosse obbligata a farlo. Solo perché mi vedevano un ragazzo che iniziava a vivere da solo.

Ho letto un po’ di libri, qualche storia sui giornali di persone che hanno tentato la fortuna partendo come me per venire in Italia. Molte volte sono storie tristi, si raccontano perché forse danno più curiosità. La mia è una bella storia io sono fortunato. Quando mi chiedono se ho nostalgia di casa io rispondo che sono a casa… una volta ho letto da qualche parte “casa è dove sono felice” ed io sono felice qui in questo piccolo paese dove la mattina quando vai al lavoro le persone ti sorridono e “buon giorno!” “buon lavoro!” “Buona giornata Bambino!”