“Ho una storia… e tu?”: il laboratorio di narrazione e autonarrazione di SpazioG2

 

Quanti modi ci sono di narrare una storia? Ci sono tante storie da raccontare e diversi modi di narrarle, dall’importanza dei suoni, delle intonazioni e delle musiche, al valore dei movimenti del corpo con i quali scopriamo che anche le nostre posture “narrano” qualcosa di noi. Questo e tanto altro è quanto stanno scoprendo i ragazzi e le ragazze del laboratorio Spazio2G realizzato nell’ambito del progetto Impact Campania dalla Cooperativa Sociale Dedalus.

In questo momento l’iniziativa è ferma, in attesa di riprendere quando i decreti lo permetteranno, ma Stranieriincampania ha voluto raccontare l’attività di “Ho una storia… e tu?” incontrando Roberta Ferraro, sociologa e antropologa, che si sta occupando del laboratorio di narrazione, autonarrazione e storytelling.

Benvenuta su Stranieriincampania, puoi raccontarci come nasce questo laboratorio?

Nell’ambito del progetto Fami noi svolgiamo diverse attività tra cui questa che consiste in un percorso laboratoriale per adolescenti e preadolescenti chiamato SpazioG2 rivolto alle seconde generazioni, o meglio nuove generazioni come ci consigliano di dire, sulle tematiche inerenti ai ragazzi con background migratorio. Il gruppo che abbiamo individuato già faceva parte di un primo corso di lingua italiana, realizzato sempre nell’ambito del FAMI, era composto principalmente da pakistani e bengalesi. Ci siamo resi conto che avevano tanta voglia di raccontarsi e parlare per questo motivo sarebbe stato un peccato perderli di vista dopo la fine del corso. Chiaramente non sono tutti padroni della lingua italiana, per questo motivo si è deciso di partire da Spazio2G per poter fare un laboratorio sulla narrazione, l’autonarrazione e lo storytelling che partisse dal tema dell’identità, un argomento che è alla base del ragionamento per un laboratorio rivolto alle seconde generazioni.

Come avete formato il gruppo di lavoro?

Ci siamo inventati questa formula un po’ più leggera per loro che sono anche un po’ più piccoli, perché sono tra i 12/13 anni fino alla più grande che è una ragazza cinese di 18 anni. Per cui abbiamo formato questo gruppo partendo da questi ragazzi bengalesi e pakistani per poi allargarlo ad altri. Il laboratorio lo abbiamo chiamato “Ho una storia… e tu”, molto settato sulla narrazione, sul racconto, sullo scambio, sulla socializzazione e sull’espressione, insomma, queste sono le parole chiave di questo laboratorio e poi l’abbiamo allargato e si è formato quindi questo gruppo formato da due ragazze cinesi sorelle, da quattro ragazzini bengalesi,  due ragazzi e una ragazza pakistani, una ragazza srilankese e una ragazza georgiana, questo è il gruppo più stabile.

Da quale argomento siete partiti?

Abbiamo realizzato i primi incontri partendo dalla storia del nome, perché hanno quel nome, che significato ha nella loro lingua di origine, se un significato storico oppure religioso, e così abbiamo iniziato un po’ a farli aprire, a scoprire delle cose insieme, perché la mia richiesta era anche di informarsi tramite i parenti e i genitori, sul perché di quel nome e quindi di indagare un po’ la storia delle loro origini.

Come hanno risposto i ragazzi?

Molto bene, anche perché insieme a me c’era il collega Mohamed, che ha origini algerine, e come ormai sappiamo benissimo, funziona molto bene con i ragazzi con background migratorio avere un tutor o un operatore che condivide con loro un’esperienza identitaria altra o comunque un sistema di valori, in questo caso anche religioso perché molti ragazzi sono musulmani in questo gruppo e quindi c’era questo riferimento che ha funzionato molto bene.

Puoi raccontarci come si è sviluppato il percorso che avete fatto?

Siamo partiti da come si racconta una storia e in ogni incontro abbiamo portato avanti una parte della narrazione. Per esempio, una storia si può raccontare attraverso i suoni e le musiche e quindi abbiamo parlato delle colonne sonore, ascoltando dei suoni, per capire come questi influenzano il nostro sentire. Poi attraverso il corpo, e quindi abbiamo lavorato molto sul movimento espressivo e sul mimo, così che anche chi ha difficoltà linguistiche potesse sciogliersi un po’ di più. Abbiamo anche raccontato attraverso la scrittura, riprendendo Rodari e i giochi sui binomi fantastici, oppure facendo anagrammi o lavorando sul plurilinguismo che, ovviamente, loro rappresentano, perché ogni ragazzo parla due o tre lingue e abbiamo scoperto che sono affascinati anche da lingue altre. C’è questa ragazza srilankese che da sola studia il coreano perché le piace il K-Pop. Ci sono comunque diversi modi di raccontare le storie, anche attraverso le immagini, per cui abbiamo visto dei film di Charlie Chaplin e quindi come il mutuo ha comunque una comunicazione efficace quando lo si sa fare. Abbiamo esplorato diverse modalità di raccontarsi e raccontare.

Quali tematiche sono venute fuori? Quali stimoli hanno portato i ragazzi?

Alcune tematiche sono venute fuori anche da loro e mi ha fatto molto piacere. Per esempio una ragazza pakistana ci ha chiesto di guardare insieme il documentario su Malala, l’attivista pakistana, e dopo un pomeriggio di proiezioni abbiamo affrontato insieme l’argomento. E’ stato un momento di discussione e scambio molto interessante.

Diventa un modo anche di confrontarsi tra di loro…

Un pomeriggio dovevamo fare un gioco in cui loro dovevano semplicemente toccare la schiena del ragazzo o della ragazza davanti a sé per passarsi un messaggio e i ragazzini bengalesi si sono rifiutati di toccare le ragazze. Questa occasione ci è servita per confrontarci sugli stereotipi di genere o comunque per capire meglio quali sono le loro riservatezze in merito. Anche le ragazze li rassicuravano, ma sono ragazzi arrivati da poco tempo in Italia e quindi si stanno ancora abituando al modo di fare, di interagire e anche di muoversi tra i corpi, poi in un’età così complicata che è quella del passaggio da essere bambini ad adolescenti. E quindi, piano piano, abbiamo sciolto un po’ la tensione che loro stessi si erano creati perché non ce n’era da parte degli altri.

Come stanno vivendo la scuola in questo momento di didattica a distanza?

Noi abbiamo iniziato la seconda settimana di settembre se non sbaglio, era prima che iniziasse la scuola. Molti di loro dovevano iniziare il primo superiore e quindi non ti dico l’emozione, erano in fibrillazione massima per questo inizio di una scuola diversa, classe diversa, materie diverse, insomma io ho visto un grandissimo entusiasmo in tutti nel pensare di ricominciare in presenza a scuola. Per cui poi, quando è iniziata la Dad, soprattutto per le scuole superiori e soprattutto per il primo anno dove tutto è nuovo, dai compagni ai docenti fino all’approccio allo studio, è stata proprio una botta tornare a distanza. Infatti all’inizio durante la prima parte del laboratorio organizzavamo un circle time in cui esprimevano le difficoltà che stavano affrontando e soprattutto come si sentivano.

Cosa è emerso da questo confronto?

Anche chi aveva molto entusiasmo si è depresso per le difficoltà, non solo legate alla didattica a distanza, difficoltà che riguarda ovviamente tutti ragazzi e tutti gli adolescenti ma, avendo delle difficoltà linguistiche, tutto è più complicato perché si stancano di più. Inoltre è ’ difficile socializzare, questo è stato anche argomento di discussione. Alla fine abbiamo dovuto interrompere perché sul territorio potevamo fare solo attività in presenza rivolte alla didattica e al supporto didattico.  Abbiamo poi trasformato tante attività che avevamo in DAD solidale la mattina, per chi non ha una connessione o resta solo in casa o non ha gli strumenti adatti, e il pomeriggio con il supporto didattico. Anche se abbiamo interrotto il nostro laboratorio, tutti partecipano almeno ad una di queste attività.

Quando pensate di poter riprendere?

Allora in realtà c’era l’idea di trasformarla a distanza, però avremmo dovuto chiedere ai ragazzi un carico maggiore in più di connessione sempre davanti ad uno schermo e quindi, poiché stava funzionando veramente tanto l’interazione tra i ragazzi, abbiamo preferito interrompere e ricominciare non appena sarà possibile. Io credo, da come si stanno mettendo le cose, che da gennaio riprenderemo questa attività in presenza, cioè da quando riapriranno anche le scuole. Diciamo da quando sarà normativamente possibile.

 

 

Napoli 4 dicembre 2020